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 2014  ottobre 16 Giovedì calendario

La storia del drone che ha fatto riesplodere l’odio tra serbi e albanesi

Certo, il caso. Se serbi e albanesi per 68 anni si sono evitati, e anzi quella del 22 ottobre (se è ancora in calendario) dovrebbe essere la prima visita compiuta da un leader di Tirana a Belgrado dai tempi di Tito, c’è voluta sfortuna per fissare proprio adesso una sfida diretta per le qualificazioni agli Europei 2016 tra queste due Nazioni. Era evitabile? Sì, lo era. Bastava che uno dei due Paesi l’avesse richiesto all’Uefa. Successe nel 2008 per una partita tra Armenia e Azerbaigian. Ma qui nessuno si è mosso. Quando però le federazioni sono così palesemente incapaci di governare i propri tifosi, quando una partita ha implicazioni che i governi si ostinano a ignorare, non sarebbe meglio «governare» i sorteggi? Impedire combinazioni fatali? Certo, suona antisportivo. Va contro l’idea stessa dello sport come luogo protetto e di incontro. Però è realista. E, se i risultati sono quelli di Belgrado, allora è meglio la geopolitica dei sorteggi.

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Il drone con la bandiera della Grande Albania è partito dal tetto di una chiesa vicina allo stadio del Partizan. Ma chi era a pilotarlo? Davvero, come dice la stampa di Belgrado, Olsi Rama, fratello del premier albanese Edi, seduto tra i vip in tribuna? Il vice premier serbo, Ivica Dacic, lascia poco spazio alla cautela: «È particolarmente problematico che sia stato il fratello del premier a farlo: era nostro ospite. Questo dà al caso un’altra dimensione. È stata una provocazione politica». 
Quel che è successo in campo, martedì sera, ormai è stato visto e rivisto in tv, sui siti, su YouTube . La bandiera con l’aquila che volteggia sullo stadio, sempre più basso sul campo dove si sfidano Serbia e Albania. Il difensore serbo Stefan Mitrovic che salta e l’acchiappa, l’albanese Bekim Balaj che s’avventa su di lui e gliela strappa. Poi la fuga, l’inseguimento, le scazzottate collettive, l’invasione di campo dei tifosi panciuti (e chi compare? Ricordate Ivan il terribile, quello della rissa nella partita di Genova tre anni fa?). Uno sgabello che vola, la fuga negli spogliatoi, lo stop. Prima partita sospesa per colpa di un drone. L’ennesima che gruppi di tifosi balcanici sequestrano per sfogare stupidità e violenza, travestite da nazionalismi. 
Era da giorni che si annunciavano scontri. I tifosi si scaldavano sui forum, tanto più che quelli albanesi per decisione dell’Uefa sono rimasti a casa. Davanti all’albergo dove dormiva la nazionale albanese stazionavano 500-600 poliziotti e i blindati. In campo è stata una bolgia. Il portiere albanese, Etrit Berisha: «L’atmosfera era quella di guerra». A guardare le immagini, lui ci ha messo del suo. Il laziale Lorik Cana: «Volevamo solo prendere il vessillo e tutto sarebbe tornato alla normalità, poi siamo stati aggrediti». 
Il giorno dopo è l’ora delle spiegazioni. L’albanese Igli Tare (ora dirigente laziale) era in tribuna: «È successo di tutto, la gente dalle tribune minacciava, ma altrettanta ci ha difeso con dignità». Difende Olsi Rama: «aveva solo un macchina fotografica in mano». Quando la nazionale albanese nella notte ha raggiunto Tirana, ha trovato 5 mila persone che scandivano «Grande Albania». 
L’Uefa ora non può chiudere un occhio. I provvedimenti sono già allo studio, la Serbia probabilmente giocherà a porte chiuse le qualificazioni, anche l’Albania rischia. Michel Platini dice che «il calcio dovrebbe unire le persone, non si dovrebbe mischiare alla politica». E chiede: «E se sotto il drone ci fosse stata una bomba». 
Invece, a Belgrado questo «gioco» della politica con il calcio è un genere che continua ad avere fan e pubblico. E ogni volta è inevitabile ricordare Arkan, le tifoserie usate sui campi di guerra di Vukovar, la leggendaria rissa del ‘90 alla partita tra Dinamo Zagabria e la Stella Rossa di Belgrado che «preannunciò» i massacri veri. Tempi archiviati. Però qualcuno dovrebbe informarne i tifosi, i giocatori e i provocatori del calcio.