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 2014  ottobre 16 Giovedì calendario

Facebook e Apple pronte a spendere 20 mila euro per permettere alle loro dipendenti di congelarsi gli ovuli e fare figli più tardi

Come lo dobbiamo chiamare? Un sensibile benefit offerto alle donne per preservare il loro desiderio di diventare madri, oppure una specie di mobbing neanche troppo velato, che le spinge a rinviare la gravidanza per rispondere prima alle esigenze delle loro compagnie? Il dibattito è aperto sulla nuova iniziativa presa da alcune grandi società del settore digitale, come Facebook e Apple, che hanno deciso di inserire il congelamento degli ovuli tra le procedure pagate dalle loro assicurazioni sanitarie alle dipendenti.
La prima a farla è stata la compagnia fondata da Mark Zuckerberg, che a gennaio ha promesso di coprire fino a 20 mila dollari di spese per questa pratica. Ora segue l’azienda creata da Steve Jobs, che non ha ancora rivelato una data e un ammontare preciso, ma ha promesso che farà altrettanto con le donne che lavorano per lei. Entrambe le aziende hanno chiarito che questo è solo uno dei molti benefit che offrono alle famiglie, come ad esempio i bonus per l’acquisto dei pannolini. «Noi - fanno sapere da Cupertino - vogliamo dare alle donne della Apple il potere di fare il miglior lavoro possibile con le proprie vite, curando i loro cari e crescendo le loro famiglie».
D’accordo, però la polemica è esplosa lo stesso, intorno a una domanda: l’obiettivo di queste aziende è garantire che le loro impiegate possano avere figli quando vogliono, oppure spingerle a ritardare? E le dipendenti che vogliono fare carriera, una volta appresa questa notizia, la prenderanno con un sospiro di sollievo, oppure si sentiranno obbligate a congelare gli ovuli, per dedicare gli anni migliori al lavoro e quelli successivi alla famiglia? Perché il messaggio sembra chiaro: se decidi di avere un figlio subito, a venti o trent’anni, significa che non sei davvero dedicata all’azienda, perché la maternità viene prima. L’altro dubbio è che le compagnie, offrendo di pagare i 10, 15 o 20 mila dollari necessari a completare questa pratica, puntano in realtà a risparmiare i costi molto più alti dei benefit mirati per le famiglie, come la maternità retribuita, gli asili nido, la flessibilità negli orari e magari il lavoro da casa. Meglio rimandare, e poi si vedrà. 
Il sospetto è lecito anche perché i dipendenti del settore digitale sono in grande maggioranza uomini, e quindi già esiste una certa prevenzione nei confronti del sesso femminile, forse dovuta anche al pregiudizio che gli impegni familiari alla fine limitano comunque la produttività di queste persone. 
La polemica era già cominciata ad agosto, con l’articolo che Seema Mohapatra, esperta di bioetica, aveva pubblicato sull’Harvard Law & Policy Review. Il titolo era provocatorio: «Usare il congelamento degli ovuli per estendere l’orologio biologico: assicurazione sulla fertilità o falsa speranza?». La risposta era arrivata nelle righe successive: «Questa pratica sembra mettere un cerotto sul problema di quanto è difficile per le donne avere una carriera e crescere una famiglia allo stesso tempo».
La questione oltretutto è anche pratica, perché le percentuali di successo del congelamento non sono poi così alte. Finora in America è stato usato per far nascere circa duemila bambini. Quando lo utilizzano le donne sotto i 35 anni, hanno tra il 10 e il 12 per cento di possibilità di avere figli; sopra i 35 anni il livello scende tra 6 e 8 per cento.
Naturalmente il discorso è diverso se questa strada viene scelta da un’impiegata ventenne che vuole ritardare la maternità per fare carriera oppure da una trentenne senza partner che al momento non avrebbe la possibilità di restare incinta, ma non vuole perderla per sempre. 
In ogni caso, la strada per mettere a tacere tutte le polemiche c’è: basta che le aziende, oltre a offrire il congelamento, garantiscano anche alle famiglie gli altri benefit che sono sospettate di voler evitare, e assicurino alle madri le stesse opportunità di carriera dei colleghi uomini.