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 2014  ottobre 15 Mercoledì calendario

C’è meno sostegno per Israele: lo dimostrano la posizione svedese e quella inglese. Se i negoziati per la pace andranno male Tel Aviv deve mettere in conto anche un raffreddamento della Francia

«Il vento sta soffiando e continuerà a soffiare se non ci saranno progressi verso la pace». È stato lo stesso ambasciatore britannico in Israele a spiegare il senso del voto del parlamento di Londra sul riconoscimento della Palestina come stato. Per Matthew Gould c’è «uno spostamento dell’opinione pubblica contro lo stato ebraico». E, ha spiegato, anche se il voto, almeno nell’immediato non avrà effetti pratici, è chiaro che «Israele ha perso ogni sostegno». Un’indicazione simile era arrivata l’altro giorno dalla Svezia e ieri persino la Francia, alleata fedele d’Israele, ha fatto capire che qualora i negoziati (peraltro inesistenti, al momento) non dovessero portare alla pace e a un accordo per la creazione di uno stato palestinese, Parigi riconoscerebbe la Palestina.
Il vento di cui parla Gould è la frustrazione della comunità internazionale per l’atteggiamento del governo Netanyahu che, secondo Isaac Herzog, leader dell’opposizione israeliana, «preferisce confrontarsi con il mondo intero, dal presidente Usa Barack Obama ad altri amici». «Stanno conducendo a una tempesta diplomatica». Mentre nelle cancellerie europee e al Dipartimento di Stato si sottolinea come il pericoloso caos mediorientale potrebbe favorire un accordo tra Israele e il mondo arabo sulla base dell’iniziativa di pace della Lega araba, Netanyahu sembra preferire il deterioramento della situazione.
A Gerusalemme non passa giorno senza incidenti tra palestinesi e polizia e nella Cisgiordania occupata i coloni, oltre a costruire e rafforzare i loro insediamenti, attaccano i contadini palestinesi, distruggono gli uliveti e compiono atti di grave vandalismo come l’incendio, ieri, di una moschea nei pressi di Nablus. «Bruciare luoghi santi è terrorismo e dovrebbe essere trattato come tale, qualunque sia la motivazione: religiosa, razziale o nazionalistica», le parole di condanna del presidente israeliano. Reuven Rivlin ha sottolineato che Israele «non può continuare a vedere questi incidenti come marginali». Su Westminster mentre il portavoce governativo ha ripetuto una posizione già nota. «La strada per lo stato palestinese passa attraverso il negoziato. Un riconoscimento internazionale prematuro significa inviare alla leadership palestinese il preoccupante messaggio che è possibile eludere le difficili scelte che entrambe le parti devono affrontare».
Il voto della Camera dei comuni è stato accolto con ovvia soddisfazione da parte palestinese mentre l’Unione europea è alla ricerca di strumenti per costringere Israele a fermare la politica degli insediamenti. Non si parla di sanzioni o di boicottaggio ma si sta studiando come agire sull’accordo di libero scambio per inviare qualcosa più di un segnale di disappunto. Si sa che Obama (di fronte a un Congresso schierato a favore di Netanyahu) ha sollecitato l’Europa ad adottare una politica più incisiva nei confronti del governo israeliano. Di questo si è sicuramente parlato ieri nell’incontro tra Federica Mogherini e il suo collega Lieberman. Un accenno anche alla ricostruzione di Gaza. I paesi donatori riuniti al Cairo hanno promesso consistenti fondi per affrontare ciò che il segretario generale dell’Onu, visitando la Striscia, ha definito «al di là delle descrizioni». Qualcosa già arriva ma pochi vogliono investire sapendo che, senza un accordo di pace, una quarta guerra di Gaza resta sull’orizzonte.