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 2014  ottobre 15 Mercoledì calendario

La Francia ha mandato a Roma come ambasciatore una giovane signora che non vuol più sentir parlare di austerità

Un ex ministro degli Affari europei. La scelta del nuovo ambasciatore a Roma è il segno dei tempi: quelli del patto Parigi-Roma per frenare sull’austerity e scommettere sulla crescita. A spiegarlo è Catherine Colonna, nuova rappresentante della Francia in Italia. Quasi dieci anni all’Eliseo come “voce” di Chirac e delegata agli Affari comunitari nel governo Villepin, è anche la prima donna a Palazzo Farnese. «Ambasciatrice, non ambasciatore», tiene a precisare, in omaggio alla scelta francese di accordare i titoli al genere.
Dalle “camicie bianche” di Bologna al vertice di Milano, il nostro premier Renzi e quello francese Valls sembrano avere una sintonia senza precedenti. È così?

«Credo non ci siano Paesi più vicini della Francia e dell’Italia. Storia, geografia, lingua. Ma ciò che conta di più è la strada che dobbiamo ancora fare insieme. Non dobbiamo consentire che i nostri Paesi e l’Europa vengano spazzati via dalla storia. L’Unione non è più compresa dai popoli, soprattutto perché le risposte date alla crisi economica non sono state sufficienti. La soluzione? Più cooperazione e più riforme. Vogliamo lavorare con l’Italia sulle sfide del futuro».
Per liberarci dalla “dittatura del 3%”? (Il tetto del deficit rispetto al Pil fissato dal Patto di stabilità)
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«Dobbiamo fare di più per la crescita. L’applicazione troppo rigida di vincoli concepiti in un altro contesto allontana questo obiettivo. Bisogna rispettare le regole, ma ci vuole più flessibilità. La sola austerità rischia di aumentare i problemi».
Il presidente di Bundesbank ci chiama i “bambini problematici” dell’Eurozona. Come risponde?
«Che non sono d’accordo. Francia e Italia hanno scelto la strada delle riforme. Il presidente Hollande l’ha più volte ripetuto, manterrà l’agenda di riforme a tutto campo portata avanti dal governo Valls: riforma territoriale, mercato del lavoro, sgravi fiscali per le aziende per 40 miliardi, semplificazione. Orienteremo l’Europa verso crescita e investimenti con pieno sostegno al piano di Juncker».
Torniamo ai due premier. Similitudini? Differenze?

«Entrambi hanno una volontà ferrea, la stessa determinazione a fare le riforme. Ma le situazioni dei due paesi non sono comparabili al 100%».
Jobs act. Da voi passerebbe?

«Stiamo lavorando nella stessa direzione, ma non si può immaginare di trasferire le riforme di un paese in un altro. Noi abbiamo introdotto la “ flex sécurité”, stiamo cercando di migliorare l’apprendistato, il passaggio tra scuola e impresa. E procediamo d’intesa con i partner sociali».
I vostri sindacati darebbero più battaglia dei nostri?

«In Francia facciamo attenzione alla concertazione con le parti sociali. Cerchiamo una linea di continuità. Il governo italiano dà l’impressione di volere rompere con il passato, forse perché sa che se non facesse così non potrebbe andare avanti».
Ma il successo degli euroscettici del Front National in Francia non fa ben sperare per il futuro dell’Unione...
«Non è un fenomeno solo francese. La crisi economica e la lentezza delle risposte hanno sollevato interrogativi in tutta Europa. In molti sono caduti nella tentazione di ripiegarsi su se stessi. Bisogna far capire che questo è l’inizio della fine. L’avvenire nel mondo globalizzato è cooperare di più: ma per la crescita e i posti di lavoro».
Complici anche gli scandali privati la popolarità del presidente Hollande è ai minimi storici. Riuscirà a fare le riforme necessarie con un consenso così basso?
«Le questioni private sono private. Il presidente ha scelto la strada delle riforme e non se ne discosterà. La Francia ha dalla sua istituzioni solide e una cultura dello Stato diversa forse dalla vostra. Per governare ci vogliono tempo e stabilità, noi abbiamo entrambe le cose».