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 2014  ottobre 14 Martedì calendario

Bahrami, il grande pianista, spiega il suo innamoramento per Bach: «Tutto cominciò quando avevo cinque anni…»

«Se uno ti salva la vita, sarai legato a lui per sempre». Ramin Bahrami spiega così il suo legame profondo, vertiginoso, con Johann Sebastian Bach. Il «Corriere» offre da oggi, al costo di 9,90 euro, 12 cd che il pianista ha dedicato proprio al grande compositore tedesco. «A Bach devo tutto. Non è una metafora — precisa Bahrami, nato a Teheran 38 anni fa —. Gli devo la forza di non arrendermi, il gusto della libertà, la passione per la bellezza. Mi ha sostenuto nei momenti bui, mi ha accompagnato in quelli felici. Mi ha fatto da padre quando mio padre non c’era più e da maestro in ogni momento. La mia vita è stata tutta scandita dalla sua musica, dal suo sguardo senza confini».
Quando il primo incontro?
«Avevo cinque anni. Un’amica di mia madre cui devo i primi rudimenti di piano mi invitò a casa sua ad ascoltare un disco che aveva portato da Parigi. La puntina del grammofono centrò sul vinile la Toccata della Sesta Partita suonata da Glenn Gould. Sono in paradiso, ricordo di aver pensato».
Il rischio dei colpi di fulmine è il secondo incontro. Potrà essere mai all’altezza?
«Fu anche di più. A dieci anni mi regalarono un cd delle Variazioni Goldberg. Al piano sempre Gould. Lo stupore e l’emozione per quel mondo da Mille e una notte sonora era pari a quelli che provavo davanti alle immagini che mio padre evocava con la lanterna magica. Non sapevo ancora che l’anno dopo ci saremmo lasciati».
A 11 anni lei se ne va dal suo Paese, fugge con sua madre in Europa.
«La situazione politica era cambiata. Con l’arrivo degli Ayatollah la nostra famiglia, legata allo Scià, era in pericolo. Mio padre pensò a metterci in salvo, dovevamo raggiungere sua madre in Germania. “Studia Bach, ti salverà”, il suo ultimo saluto. Poco dopo fu arrestato: morì in carcere nel 1991».
Cosa ricorda di quel viaggio senza ritorno?
«Una grande tristezza. Anche lì però Bach mi aiutò. Tra i “tesori” che avevo portato con me una cassetta con la Passione secondo Matteo . L’ascoltai in cuffia tutto il tempo del volo da Teheran a Francoforte. Quella musica somigliava a quello che sentivo, accompagnava lo strazio del distacco e allo stesso tempo lo leniva».
Sbarcò in Germania ma il primo approdo fu l’Italia.
«Una borsa di studio mi permise di iscrivermi al Conservatorio di Milano e diplomarmi in pianoforte con Piero Rattalino. Sono stati anni duri ma felici. La città era accogliente, aperta agli stranieri».
In quel periodo inizia anche a studiare le Goldberg.
«Avevo 16 anni. Decisi di osare durante una vacanza a Stoccarda da mio fratello Bahram. Avevo con me la partitura ma non il piano. Così trasformai il tavolo della cucina in una tastiera immaginaria, appoggiavo le dita sul legno seguendo i suoni che avevo in mente. Ogni giorno imparavo una nuova variazione, dopo due mesi avevo mandato a memoria l’intera opera. Non restava che trasferire quel mondo interiore su un vero piano. Mi sono esercitato per otto anni, ne avevo 24 quando uscì la mia prima incisione delle Variazioni ».
Uno studio matto e disperatissimo direbbe Leopardi. E la vita?
«Non l’ho mai messa da parte, non si può suonare Bach se non si ama la vita. Johann Sebastian è un seduttore come nessun altro. L’ Arte della fuga è uno dei pezzi più erotici mai composti per la musica. Bisogna aver sperimentato l’amore per poterla affrontare. A me è successo all’età di 30 anni».
Poi è stata la volta delle Suite inglesi e francesi e dei cinque Concerti per piano e orchestra.
«Li ho eseguiti a Lipsia, terra bachiana, con il Gewandhaus diretto da Riccardo Chailly. Una lettura “moderna” senza l’uso del pedale. Bach nostro contemporaneo. Anzi, sempre mille passi avanti».
Bach magico, cabalistico.
«Anche. Tradotto nella nomenclatura musicale tedesca il suo nome dà 14. Un numero che torna continuamente nelle sue opere, piene di enigmi musicali. Bach è un ponte con l’inconscio. A 13 anni feci un sogno: lui e io a passeggio in un giardino in un castello tedesco. Facemmo tre volte il giro del parco, sempre in silenzio. Mi svegliai pieno di gioia. Questa è una chiamata, mi dissi».
E Bach le ha fatto anche incontrare sua moglie.
«Maria Luisa Veneziani. Si era iscritta a una mia masterclass. Ci siamo innamorati, ci siamo sposati. A marzo è nata nostra figlia, Shahrin Maria. Che a sette mesi ha già ascoltato tantissima musica di Bach. E mi sembra una bimba molto felice».