Corriere della Sera, 14 ottobre 2014
Il bando di gara per l’appalto che è all’origine della tragedia di Genova venne scritto da un prefetto in modo quasi incomprensibile. I commissari lo avvertirono che con quello stile contorto e oscuro i ricorsi sarebbero stati numerosi. Ma il prefetto, che poco dopo si dimise, non volle sentir ragioni
Avanti come un sol uomo. Ma piano, con molta prudenza. «Si trasmette copia delle diffide relative all’appalto interessato dal contenzioso con preghiera di esprimere parere in ordine alla possibilità di procedere alla stipula del contratto, anche tenuto conto che le eventuali implicazioni di carattere risarcitorio sarebbero a carico dello Stato».
La lettera è stata spedita ieri pomeriggio, è indirizzata all’Avvocatura generale dello Stato. La firma in calce è del governatore Claudio Burlando, in qualità di commissario all’opera sul Bisagno, carica che ricopre da fine luglio. Chi paga i danni se la pallina di questa roulette fatta di appelli e ricorsi ai giudici amministrativi si ferma sulla casella sbagliata. Il problema è quello. L’ufficio legale della Regione Liguria ha consigliato al suo «capo» di cautelarsi perché il rischio di nuovi rovesci giudiziari che diano ragione alle ditte che hanno fatto ricorso contro l’esito della gara d’appalto del 2011 appare concreto. Il bando di gara che doveva assegnare la seconda parte della messa in sicurezza del torrente responsabile di ogni possibile esondazione contiene un paragrafo dal significato oscuro al quale si sono aggrappate, spesso con successo, le ditte ricorrenti.
A leggere i verbali della commissione incaricata di valutare le offerte e assegnare l’appalto, appare chiara la consapevolezza del peccato originale. «L’attuale formulazione del bando di gara si presta a differenti interpretazioni che potrebbero condurre a contenziosi giuridici con potenziali ricadute sullo sviluppo dell’opera». La profezia risale al 21 gennaio 2012. I giudici non hanno ancora deciso a chi assegnare i lavori. Sono pronti a farlo, ma prima hanno uno scrupolo. Sanno bene che in questo modo si parte male e si potrebbe anche proseguire peggio. Scrivono al commissario straordinario dell’opera, il prefetto Giuseppe Romano. Per loro è una specie di marziano atterrato a Genova in seguito alla legge 26 del 2010 che prevede l’istituzione di un commissariato ad acta per ogni grande opera approvata dal terzo governo Berlusconi. Dal 2005 al 2010 la gestione del primo lotto dell’opera è stata all’insegna del fai da te, con commissari a titolo gratuito tra i quali lo stesso Burlando. In 5 anni i costi sono lievitati di 20 milioni da sommare ai 50 iniziali. Ma almeno i lavori si sono conclusi, senza intoppi, persino in tempi ragionevoli.
La strada sembra segnata, come dovrebbe essere la costruzione della seconda parte di una galleria che deve condurre in mare il pestifero torrente. A leggere la nota tecnica redatta a futura memoria dai membri della commissione, il prefetto Romano scarta di lato. Invece di scrivere un bando di gara che ricalchi il progetto definitivo del primo lotto e preveda l’offerta al ribasso come unico criterio di valutazione, sceglie la via dell’appalto integrato. Chi vince ha l’onere di presentare un suo progetto definitivo. Ma il percorso per giungere alla meta è tortuoso come l’italiano usato nel bando di gara. Il passaggio scabroso è quello che prevede la possibilità di presentare un’offerta migliorativa del progetto e dei parametri fissati nel primo lotto, ma vieta di presentare varianti al progetto originale, pena l’esclusione dalla gara. I commissari scrivono che risulta «di ardua interpretazione logica e valutazione tecnica» la differenza tra le due opzioni. «Si fa presente il rischio connesso a una assegnazione dei lavori ispirata a un criterio ibrido che risulterebbe ampiamente confutabile in una eventuale sede giudiziaria». Suggeriscono la revoca del bando o una modifica che renda possibile l’inclusione di imprese che hanno presentato offerte troppo difformi dal modello originale catalogate alla voce «variante». Non risultano risposte scritte.
Nel dicembre 2012 il Tar della Liguria fa a pezzi l’appalto. «Progetto sbagliato e da rifare» scrive nella motivazione che accoglie il ricorso del consorzio che aveva realizzato il primo lotto dell’opera ma era stato escluso dall’assegnazione del secondo. Il cantiere n0n si apre neppure. I tempi dei lavori si allungano di almeno due anni. Intanto il prefetto Romano si è dimesso. Dietro di sé lascia una struttura commissariale rimasta in carica per un anno, costata 15.438 euro al mese tra stipendio personale e spese di gestione. E unbando di gara scritto male, ma proprio male.