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 2014  ottobre 13 Lunedì calendario

I contribuenti tedeschi credono di aver pagato per salvare i paesi meridionali spendaccioni. In realtà sono stati tartassati (e noi con loro) per tirar fuori dai guai le loro banche

Quale tra i grandi Paesi ha speso di più per salvare le sue banche dal crack? Gli Stati Uniti, viene subito di rispondere. Non è così. La Gran Bretagna allora, possono correggere i più informati, al corrente che il Tesoro Usa alla fine ha riavuto indietro gli oltre 700 miliardi di dollari del piano Paulson. Nemmeno. La risposta a sorpresa, dopo calcoli che il Fmi ha appena pubblicato, è la Germania. 
I contribuenti tedeschi, convinti di aver pagato un prezzo pesante per soccorrere i Paesi spendaccioni dell’area euro, in realtà sono stati tartassati per tappare i buchi delle banche nazionali. Al momento, il conto è di circa 238 miliardi di euro. Non si tratta di una cifra definitiva. Alcune delle partecipazioni, come il 17% della Commerzbank, potranno essere rivendute con profitto prima o poi, per ora l’esborso netto è sui 45 miliardi. Intanto resta assodato che nel G-7 è stata la Germania a impegnare le somme maggiori in rapporto al proprio prodotto lordo, 12,5% contro 10,5% del Regno Unito e 4,5% degli Usa. A una cifra così alta il Fmi è arrivato sommando gli interventi dello Stato federale tedesco con quelli dei Laender, le regioni che lo compongono. La scoperta cambia la ricostruzione della crisi finanziaria globale scatenata dal fallimento della Lehman Brothers nel settembre 2008; e getta nuova luce anche fra i contrasti tra i Paesi euro dell’ottobre successivo. I dissesti sono stati scatenati dai giochi d’azzardo delle banche di Wall Street e della City di Londra. Altri se ne sono originati in Paesi dove si erano avuti colossali boom immobiliari, come Irlanda e Spagna, o che avevano attirato depositi troppo grandi, come Islanda e Cipro. Ma a fronte di tanti cattivi debitori c’erano anche, in Germania, incauti creditori.
Molti «titoli tossici» erano stati acquistati da banche tedesche; finanzieri americani spericolati confidavano di aver trovato acquirenti di scarse pretese nelle Landesbanken, istituti regionali molto condizionati dalla politica. Capitali provenienti dalla Germania avevano finanziato l’euforia creditizia nei Paesi periferici dell’Europa. Nelle giornate di panico dell’autunno 2008, la Francia ed altri Paesi avevano proposto di rinsaldare le banche dell’area euro con un intervento collettivo. Autorevoli economisti sostenevano che ricapitalizzare le banche massicciamente, rimuovendo i manager che avevano sbagliato, sarebbe stata la scelta migliore.
La Germania rifiutò, sostenendo che non intendeva, come Stato più forte, farsi carico di colpe altrui. Come si vede ora, non era proprio così. Il commento volgare attribuito all’allora presidente francese Nicolas Sarkozy («à chacun sa merde») era forse più profondo di quanto apparve al momento. In ordine sparso, i Paesi forti rimisero in piedi le loro banche, i deboli non ci riuscirono. I sospetti reciproci tra le capitali dell’euro derivavano anche dalla contiguità tra potere politico e potere bancario. A causa di complicità politiche Madrid tardò tanto a svelare lo stato pietoso delle Casse di risparmio; eppure in quota di Pil le necessità finanziarie spagnole (7,7%) erano inferiori a quelle tedesche. Sull’Italia Fmi non dà cifre. Esiste però un calcolo della Banca d’Italia: gli interventi a favore delle aziende di credito («Tremonti bond» e prestito speciale al Monte dei Paschi) - di ammontare modesto rispetto agli altri Paesi - si sono conclusi con un guadagno netto per lo Stato.