10 ottobre 2014
Tags : Patrick Modiano
Patrick Modiano, premio Nobel per la Letteratura: «Sono un cane che finge di avere un Pedrigree». Un’infanzia difficile, un padre ebreo collaborazionista, una madre che non si prendeva cura di lui e un fratello morto a soli 10 anni. Poi grazie a Queneau diventa uno scrittore, un romanziere che esplora la memoria. In solitario
Boulogne-Billancourt (Francia), 30 luglio 1945. Romanziere. Premio Nobel per la letteratura 2014.
• «Sono un cane che finge di avere un Pedrigree».
• «Sono nato da un ebreo e da una fiamminga che si erano conosciuti a Parigi durante l’occupazione». Concepito nel ’44, in un appartamento del numero 15, Quai de Conti, sulla Riva sinistra della Senna. Nato nel ’45, quando era appena finito il periodo che l’ossessiona ancora a quasi settant’anni, quello dell’occupazione e del collaborazionismo con gli invasori nazisti. Da bambino Patrick, prima di imparare il francese, parlava la lingua della madre [Valli, Rep].
• Il padre Albert, nacque a Parigi nel 1912, era un ebreo francese d’origine italiana, toscana per l’esattezza [Salom, Cds], arrestato durante il collaborazionismo [Montefiori] ma liberato dalla banda di via Lauriston, di cui era capo un certo Eddy Pagnon — un losco personaggio non privo di contatti con gli occupanti. Questo ambiguo evento, questa oscura storia, riappare spesso nei romanzi, da La ronde de nuit a Domeniche d’agosto a De si braves garçons [Cordelli, Cds]. Era un uomo d’affari anche se «non ho mai capito quali affari trattasse» (a Liberation nel ).
• La madre Louisa Colpijn, attricetta di second’ordine fiamminga sbarcata a Parigi nel 1942 in cerca di fortuna, «una bella donna dal cuore duro», che non ha mai saputo occuparsi dei figli. Ginori su Repubblica: «Li sistemarono a destra e a sinistra, di pensionato in pensionato, soli, sempre più soli, fino a che quel trauma centrale, la morte di Rudy a soli dieci anni, scollò Patrick dalla sua vita, facendogliela vivere come un brutto sogno».
• A prenderlo sotto la sua ala, Raymond Queneau (quello di Zazie dans le metro), che frequentava casa sua per via della moglie, amica di famiglia: «Dagli 11 ai 17 anni ho vissuto in collegio. Potevo tornare a casa solo il sabato. Mia madre conosceva la moglie di Raymond Queneau e un sabato c’era anche lui. Avrà visto che ero un po’ abbandonato a me stesso così, per gentilezza mi disse di andare a pranzo da lui. Abitava la Rive Droite, Square Casimir Pinel. Ossessionato dalla matematica mi aiutava a fare i compiti di geometria, mi chiedeva le mie letture. A casa sua ho conosciuto Boris Vian e ogni tanto mi portava in giro. A 18 andai al mio primo cocktail, era alle edizioni Gallimard. Rimasi in silenzio tutto il tempo» (a Liberation nel 2007).
• Non si è mai laureato.
• Modiano, bello, alto, occhiali spessi su uno sguardo stralunato [Perantozzi, Mess]. Un uomo di timidezza leggendaria, una persona gentile che sembra quasi dispiaciuta di fare delle affermazioni perché inevitabilmente si fa torto al loro contrario, e niente è mai chiaro, o facile, o liquidabile con poche frasi-sentenza [Montefiori].
• Patrick Modiano scrive il suo primo romanzo La Place de l’Étoile nel 1967 che ottiene il premio Roger Mimier. Da allora ha scritto una trentina di libri tutti pubblicati dalle Gallimard, tra cui Via delle Botteghe oscure, premio Goncourt 1978. Nel 1974, con Louis Malle scrive la sceneggiatura del film Lacombe Lucien in cui si racconta la storia di un collaborazionista contadino, ma è stato anche documentarista per Carlo Ponti e di paroliere per Françoise Hardy (Etonnez-moi Bennoit).
• «È straordinario che la sua musica, così delicata, sottile, sia stata ascoltata dai giurati» (Catherine Deneuve, amica del romanziere, con il quale ha scritto un volume Elle s’ appelait Françoise dedicato alla sorella dell’attrice, Françoise Dorléac) [Ginori, Rep].
• È il quindicesimo scrittore di lingua francese premiato con il Nobel in oltre un secolo. Il riconoscimento, sei anni dopo quello a Jean-Marie Le Clézio, fa della Francia il paese con più Nobel per la letteratura (compreso uno rifiutato, da Jean-Paul Sartre). «Mi sembra irreale essere finito insieme ad autori, come Camus» [Ginori, Rep].
• Ammiratore di Camus, Sartre, Chandler e di Simenon. «Secondo alcuni biografi, nella camera in Quai de Conti dove è cresciuto c’erano ancora dei libri di Maurice Sachs (1906-1945), amico di Jean Cocteau e di André Gide, e infine ebreo collaborazionista, contrabbandiere al servizio dei tedeschi, sbranato dai cani in Pomerania mentre seguiva la sorte dei guardiani nazisti, era uno scrittore di talento» [Valli, Rep]. Di Philip Roth invece a detto «Sì, cioè, avevo letto il... quando avevo... ero molto giovane... non mi ricordo... Sì, Portnoy... mi aveva fatto un effetto... uno humour... mi aveva molto colpito all’epoca.... Poi ho letto che vuole smettere di scrivere ma non sono sicuro che manterrà la sua decisione, è difficile...». [Montefiori, Cds]
• Tra i suoi romanzi e racconti tradotti in italiano [per Einaudi e Guanda], ci sono Dora Bruder, Sconosciute, Bijou, Un pedigree, Nel caffè della gioventù perduta, L’orizzonte.
• «Ho l’impressione di aver scritto sempre lo stesso libro. La letteratura può essere un rifugio. È l’arte che traduce meglio l’angoscia contemporanea. Non si può sfuggire alle angosce della propria epoca. Anche chi vive in una torre d’avorio è prigioniero del proprio tempo. Ho sempre pensato che se non fossi stato io a scrivere i miei libri, qualcun altro lo avrebbe fatto» (Patrick Modiano).
• Più che francese, Modiano è soprattutto parigino. Tutti i suoi libri sono ambientati nelle strade della capitale, in un continuo rimando al periodo dell’Occupazione. La sua opera ruota attorno a quell’epoca, meglio all’atmosfera di quell’epoca ormai uscita dalla memoria ed entrata nella storia. È sempre alla ricerca di quel passato che l’ha preceduto. Tutto questo continua più di sessant’anni dopo. Ad esempio attraverso una telefonata misteriosa, come in Pour que tu ne te perdes pas dans le quartier, l’ultimo romanzo (che arriverà in Italia nel 2015 tradotto da Einaudi). Patrick è la memoria. [Ginori, Rep].
• Se si dovesse dare una definizione del «modianesco», termine lessicalizzato nel francese letterario contemporaneo, e che sta a indicare il suo stile inconfondibile, si dovrebbe parlare di un fraseggio secco, molto spezzato, quasi impersonale.
• Modiano scrive ancora a mano nel suo appartamento, circondato da libri, guide, cartine e persino vecchi elenchi telefonici della capitale in cui pesca i nomi dei suoi personaggi.
• Patrick Modiano ha appreso di avere vinto il premio Nobel della Letteratura quando ormai il presidente dell’accademia svedese, Peter Englund, lo aveva annunciato al mondo. «Per adesso non siamo riusciti a contattarlo», ha detto Englund intorno alle 13. C’è riuscita poco più tardi la figlia, che ha trovato Modiano mentre passeggiava vicino al giardino del Lussemburgo, «allora ho continuato a camminare, per cercare di... per provare a fare l’abitudine a questa idea. Non me lo aspettavo per niente, e quindi ho sentito una specie di sdoppiamento, come se avessero dato il premio a un altro scrittore con il mio stesso nome e cognome» [Montefiori].
• Quando gli dicono che i membri dell’Accademia lo hanno definito il «Marcel Proust del nostro tempo», risponde con la solita modestia: «C’est bizzarre». [Rep].
• «Ma perché mi hanno dato il premio? Voi lo sapete già?», chiede Modiano ai giornalisti. «Mi interessa molto, perché io sono sempre immerso nei miei libri, ma poi non so bene come vengano giudicati fuori... Sono un osservatore troppo vicino e non saprei dire bene che cosa scrivo. Ma loro, dall’esterno... Devono per forza avere trovato una frase sintetica, una formula che riassuma la mia opera...» [Montefiori, Cds].
• Con 8 milioni di corone (circa 878 mila euro), non ha paura di pronunciare il discorso solenne di accettazione a Stoccolma: «Il mio è un lavoro solitario, non sono abituato al pubblico e a tutta questa attenzione... Mi ha chiamato anche il presidente Hollande, parlandomi dell’importanza della letteratura... A Stoccolma si tratterà di leggere un testo già preparato, sarà la scrittura a proteggermi» [Montefiori, Cds].
• La scrittura? «È come vivere in uno stato di sonnambulismo, di sogno senza fine che ti lascia perennemente insoddisfatto. Perché appena finisci un libro hai subito voglia di scriverne un altro. Sarebbe formidabile se un giorno non avessi più voglia di scrivere» [Rep].
• Modiano dedica il premio al nipotino svedese, «è nato lì perché mia figlia si è trasferita in Svezia, ha due anni».
• Gli osservatori più attenti avevano intuito che Patrick Modiano potesse vincere affidandosi non tanto alle quotazioni iniziali dei bookmaker, ma ai loro movimenti. Una settimana fa era dato dagli scommettitori internazionali 50 a 1, quasi in fondo alla classifica dei 210 candidati. Poche ore prima dell’annuncio era entrato nella rosa dei dieci favoriti: sesto posto, 10 a 1. La veloce risalita ha messo in allarme chi è abituato a diffidare dei papabili, quest’anno il keniano Ngugi wa Thiong’o, tallonato dal giapponese Haruki Murakami e dalla giornalista bielorussa Svetlana Alexievich (nelle foto). Era accaduto anche nel 2009 quando Herta Müller passò in una settimana da 50/1 a 3/1. Molta strada in pochi giorni. Finì che vinse il Nobel [Rep].
• «Mi sarebbe piaciuto scrivere qualcosa di elegiaco, di commovente».
•«Sapere se nei miei libri si riscontra dell’autofiction, avrei difficoltà a dirlo. C’è sempre una mancanza di lucidità su ciò che si scrive... Certo, il mio narratore talvolta si chiama Patrick, Patoche, ma è una specie di facilitazione. C’è Riduzione di pena che ha una dimensione autobiografica. Ma adoperavo l’io perché mi permetteva di trovare un tono, una forma. È questo che è complicato, quando si scrive: trovare un tono. I miei libri sono meno autofiction che fantasticherie su alcuni elementi che possono anche essere lontanissimi dalla mia sfera personale. L’io che uso, in generale non ho l’impressione che si tratti di me» [Cordelli, Cds].
• Il 12 settembre 1974 sposa Dominique Zehrfuss, figlia di Bernard il noto architetto: «Ho un ricordo catastrofico del giorno delle nostre nozze. Pioveva. Un vero incubo. I nostri testimoni erano Queneau, che protesse Patrick sin dalla adolescenza e Malraux, un amico di mio padre. Hanno incominciato a litigare a proposito di Dubuffet e noi lì, a guardarli come se fossimo a una partita di tennis. Detto questo sarebbe stato simpatico avere delle foto, peccato che l’unica persona che aveva una macchina fotografica dimenticò di metterci la pellicola. Di tutto il matrimonio abbiamo una sola fotografia, di schiena e sotto un ombrello» (Dominique Zehrfuss a Elle nel 2003). Ha due figlie.
• «Esplora con finezza la memoria» ( François Hollande)