Corriere della Sera, 9 ottobre 2014
«Se si abusa di qualche cosa, la medesima cosa finisce per rivolgersi in un danno». Lo diceva Einaudi parlando della radio. Oggi vale soprattutto per la televisione
«Porta a porta» ha celebrato i 90 anni della radio. Bruno Vespa ha invitato alcuni ospiti famosi (Dose & Presta, Max Giusti, Paolo Limiti…) per rivivere un po’ nostalgicamente gli anni d’oro della radio (Rai1, martedì, 23.30).
Si può parlare male della radio? No, per carità. Eppure c’è stato un grande Padre della Patria che ha scritto parole di fuoco sul mezzo. Se apriamo il libro Lezioni di politica sociale di Luigi Einaudi (scritto tra 1944 e il 1948) vi troviamo considerazioni tutt’altro che incoraggianti: «La voce comanda, ordina di pensare in un certo modo, ingiuria il disubbidiente e lo scettico e con la figura della ripetizione ottiene effetti sorprendenti di ubbidienza cieca, di persuasione convinta a cui nessuna parola scritta può giungere. Il passaggio dalla radio che allieta ed istruisce e fa dimenticare i dolori, alla radio che è causa di imbecillimento dell’umanità è graduale, chi sa premunirsi dall’andare oltre il punto critico nell’uso della radio?».
Perché questa diffidenza? L’Illustre Doglianese seguiva un insegnamento dell’economista Emanuele Sella, uno dei suoi maestri, riassumibile nella «teoria del punto critico»: se si abusa di qualche cosa, la medesima cosa finisce per rivolgersi in un danno. L’avvento prepotente della tv ha reso pressoché impossibile l’uso smodato della radio e oggi noi ne parliamo bene perché ha saputo ritagliarsi un suo spazio ai margini della scena mediatica. Ma la teoria del «punto critico» o «dei gradi decrescenti di utilità» funziona perfettamente se applicata ai mezzi dominanti: ieri la tv, oggi la Rete.
Dapprima un medium si offre come uno strumento di conoscenza e di aggregazione, contribuendo non poco allo sviluppo sociale, poi, a poco a poco, inizia a ripiegarsi su se stesso con effetti negativi. Viva la radio, ma viva anche Luigi Einaudi.