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 2014  ottobre 08 Mercoledì calendario

La radio ha novant’anni. I quattro moschettieri, Il gambero, Alto gradimento, Viva Radio 2 e le altre trasmissioni memorabili

La prima buonasera è stata lei a darcela. La radio. È il 6 ottobre 1924 quando Ines Viviani Donarelli inaugura ufficialmente i programmi dell’Eiar, divenuta poi Radiorai, annunciando un quartetto per archi di Haydn. Novant’anni dopo, nel pieno dei festeggiamenti (compleanno celebrato lunedì su Radio2 e Radio3 con una staffetta tra Caterpillar dal Piccolo Teatro Grassi di Milano e una festa in diretta dalla storica sala A di via Asiago 10) fa impressione osservare come alla radio sia riuscito un piccolo miracolo, essere una buona maestra per la miglior Tv, nel Paese più televisivo del mondo. Basta sfogliare l’album dei programmi per vedere schierata la Nazionale dell’ultimo mezzo secolo. Non c’è niente da fare, come selezionatore la radio è imbattibile: i migliori ci sono tutti, dei peggiori, nemmeno uno.   
I quattro moschettieri. Il romanzo di Dumas riscritto, musicato e abbinato alle figurine Buitoni. Un concentrato di teatro, rivista e varietà che fece impazzire l’italietta degli Anni Trenta, e da cui prenderà le mosse il grande Quartetto Cetra nei programmi in voce sfociati nel bianco e nero di Studio Uno (quando i varietà non avevano una giuria, ma una biblioteca). La linea che unisce l’intrattenimento radio e televisivo parte da qui. Quando tutto doveva ancora venire, tutto era già stato fatto; e nessuno sarà più capace di ripeterlo.   
Tutto il calcio minuto per minuto. I tifosi al bar con gli altoparlanti e le bandiere, il compagno di stadio con le cuffie, il maniaco al parco con l’auricolare, le coppiette di fidanzati con lei che chiede “Quanto mi ami?”, e lui non risponde perché l’orecchio è inchiodato alla radio del vicino... A partire dal 1959 e fino ai primi Anni 90 la domenica pomeriggio ha avuto una sola colonna sonora. Con la suspense che si rinnova ogni volta che, nel silenzio di tomba, echeggia la voce di Ciotti: “Scusa, Ameri...”. Altro che Hitchcock.   
Il gambero. Dal 1965 al 1980 all’ora di pranzo, tra la messa, le pastarelle e la partita, la radio piazza il suo rito domenicale. In famiglia ci si sfida ascoltando questo Lascia o raddoppia alla rovescia; il concorrente parte dal montepremi più alto, e deve evitare che si dimezzi dando la risposta esatta. Il segreto sta nel rapporto diretto che si instaura con il conduttore, che non per nulla si chiama Enzo Tortora. L’Italia a pranzo scopre che quando il quiz diventa un programma di parola, fatto con garbo e proprietà, la radio è la morte sua.   
Hit parade! Annunciata con il punto esclamativo, era la porta principale del weekend, il momento clou del venerdì pomeriggio, quando i dischi erano di vinile, e quando le classifiche erano classifiche. La fa nascere nel 1967 il musicista Lelio Luttazzi, l’uomo che porta lo smoking come nessun altro. Anche in radio. Fino al 1976 i suoi monologhi partono dal decimo posto e scalano la vetta senza un ordine prestabilito con l’eccezione delle prime due posizioni; “la damigella d’onore” e la “canzone regina”. Una suspense seconda solo a quella di Enrico Ameri.   
La Corrida. Anche la mamma di tutti i talent show nasce in radio; dodici edizioni dal 1968 al 1979, prima di trasmigrare sul piccolo schermo. Lo conduce Corrado, speaker Rai della prima ora, il più amato per tutti gli Anni Cinquanta. Un romano di Roma insospettabile per la pronuncia, ma inconfondibile per il benevolo gusto dello sfottò. Uno stile che contagia tutti; nessun aspirante star ma solo dilettanti felici di essere tali e di abbracciare il proprio destino. Andare allo sbaraglio.   
Chiamate Roma 3131. Nel 1969 non c’era Twitter, non c’era Facebook, e nemmeno l’email. C’era solo il telefono e così qualcuno decise di varare una trasmissione dove venissero ospitate in diretta i commenti e le domande degli ascoltatori. Fu un successo travolgente durato 32 anni con primi conduttori Franco Moccagatta, Gianni Boncompagni e Federica Taddei divenuti veri confessori laici. Oggi non c’è programma che non insegua l’interazione in rete; ma il flusso della telefonata in diretta, l’irruzione della voce sola che racconta la sua storia resta esclusiva della radio, la sua vera arma segreta.   
Alto gradimento. Ci sono incontri che fanno pensare che il destino c’è, e ci vede perfino meglio della sfiga, come quello tra il foggiano Renzo Arbore e l’aretino Gianni Boncompagni. L’anno di grazia è il 1970 quando i due reduci dal terremoto musicale provocato da Bandiera gialla, fanno partire il loro teatrino a base di musica, tormentoni, personaggi surreali. Come Venere nasce dalle acque, il cazzeggio radiofonico nasce da Alto gradimento. Poi Arbore lo esporterà in Tv, e ancora oggi la sua lezione vive e lotta nella cronaca quotidiana. Non c’è talk show che non ci presenti gli eredi della Sgarrambona, del professor Artistogitone, del giornalista Max Vinella. La satira si è fatta realtà.   
Le interviste impossibili. In due soli anni, dal 1973 al ’75, nasce un’antologia che solo a ripensarci mette i brividi. Italo Calvino interroga l’uomo di Neanderthal; Edoardo Sanguineti si imbatte al telefono nella centralinista Francesca da Rimini; Umberto Eco accolto da Muzio Scevola al grido di Morituri te salutant... Mai come in questo caso la Rai dimostrò di poter essere la principale azienda culturale del Paese. Ma era un altro Paese, più ancora che un’altra Rai. Oggi quasi tutti gli intervistatori di ieri hanno abbandonato il regno dei vivi, e potrebbero dunque essere intervistati. Ma da chi?   
Viva Radio 2. Nel 2001, al culmine del successo televisivo, Fiorello si trasferisce in radio con il fido Marco Baldini proprio mentre la radio, con una politica sciagurata, si trasforma in un centro di accoglienza per televisivi trombati. Pare una mossa suicida, invece si rivela il contrario; Fiorello ha capito che c’è solo un luogo dove la tradizione dell’intrattenimento sopravvive, dove ci si può ripetere senza inflazionarsi. E quel luogo è proprio la radio.   
Nicolò Carosio. Non un programma, molto di più. Impossibile sfogliare l’album dei ricordi senza ricordare il telecronista per antonomasia, la voce che accompagna la Nazionale alla vittoria dei Mondiali del ’34 e del ’38 e rimasta in servizio fino a Messico 70. Le sue gesta omeriche, le parole di chi vede rivolte a chi non può vedere, sono la quintessenza dell’epica radiofonica. Per chiudere l’album, niente di meglio del leggendario fuorionda pronunciato a fine telecronaca credendo che i microfoni fossero spenti, ma invece risuonato in tutta Italia: “E ora, in culo a tutti, facciamoci un buon whiskaccio”.