La Stampa, 7 ottobre 2014
Andreas Varady ha solo 17 anni ed è già il principe dei chitarristi jazz
Il nuovo fenomeno della chitarra jazz è un diciassettenne irlandese nato in Slovacchia in una famiglia di gitani ungheresi. Si chiama Andreas Varady e dall’età di 13 anni frequenta club e festival di tutto il mondo. È un ragazzo del suo tempo («Mi piacciono l’hip-hop e la musica elettronica»), ma suona come un classico: quando parlano di lui, i critici citano Django Reinhardt, Wes Montgomery e George Benson, gente dell’altro secolo, di due, tre generazioni prima della sua. Come il suo manager, Quincy Jones, leggendario musicista-produttore che ha fatto la storia della musica pop e jazz, e che non ha intenzione di smettere proprio ora.
Definire suo manager Quincy Jones, per quanto corretto, è naturalmente riduttivo: Varady si è scoperto da solo, anche grazie agli strumenti a lui contemporanei, come il sito di video (e molta musica) YouTube, ma da quando, nell’estate 2012, il vecchio maestro l’ha voluto e presentato al festival di Montreux, la sua rapida ascesa nell’olimpo del jazz più pop ha acquisito una velocità supersonica.
Un mese fa ha pubblicato il primo album, intitolato semplicemente Andreas Varady, sulla prestigiosa etichetta Verve (quella di Ella Fitzgerald, Bill Evans, Stan Getz, Billie Holiday, Oscar Peterson, Lester Young), con la produzione esecutiva di Jones e l’astuta (ma divertente) idea di affidare a Varady una manciata di moderni standard, tra i quali due tracce che rimandano a Reinhardt, una al mentore Quincy Jones, un’altra a B.B. King, ma anche Do It Again (Steely Dan), Come Together (Beatles), California Dreamin’(Mamas and Papas) e addirittura Baby(Justin Bieber).
«È una cosa che volevo fare da sempre - ci racconta Andreas al telefono dall’Irlanda - e per quanto le canzoni siano piuttosto diverse da ciò che faccio io normalmente, sono molto contento di avere registrato un album di nuovi classici. Sono entrato in studio senza averli mai affrontati dal vivo, è stato un bell’esperimento».
Andreas non ricorda di aver iniziato davvero a suonare («Sono cresciuto nella musica, non c’è stato bisogno di cercarla, ce l’avevo in casa») e dice che se c’è qualcuno che l’ha scoperto, è stato suo padre, «che ha notato una certa predisposizione naturale e l’ha incoraggiata, facendomi da maestro».
Oltre che su disco, avremo modo di valutare la bontà dell’intuizione di papà Varady dal vivo, nei concerti italiani di suo figlio, annunciati per gennaio.