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 2014  ottobre 07 Martedì calendario

Matteo Renzi studia un nuovo modello di Partito democratico

«Sinceramente io non vedo problemi finora dentro il partito». Sembra convinto quando parla così, Matteo Renzi. Tant’è che in mattinata, sulla fiducia, non immagina ripercussioni o esiti disastrosi: «Non vedo questioni particolari. La fiducia passerà anche perché il voto è palese». E perché, come spiega Cesare Damiano, che si sente ancora un po’ abbacchiato per quella «porta che mi è stata sbattuta in faccia dal premier» nel momento della mediazione, la fiducia è multiuso: «Serve all’esterno per dimostrare all’Europa che il premier italiano è in grado di fare le riforme e serve all’interno per far capire chi è il segretario del Pd e, quindi, chi ha la maggioranza assoluta del partito». Anche perché, come fa osservare Paolo Gentiloni, quando è stato eletto leader «Matteo aveva una maggioranza di 70 contro 30, adesso con l’ultima direzione la sua posizione si è notevolmente rafforzata e la minoranza si è divisa». 
Già. Ci sono i barricaderi alla Stefano Fassina, che minacciano «conseguenze politiche» di fronte alla fiducia. Conseguenze alle quali, però, ormai nessuno crede più. Persino Corradino Mineo non ritiene praticabile la scissione: «Chi non si ritrova nel nuovo corso renziano non andrà altrove, andrà a casa». Eppure giorni fa circolava la voce che le 56 fondazioni ex Ds potessero riunirsi e dare vita a un’unica fondazione. Di lì potrebbero venire i finanziamenti per la nascita di un nuovo soggetto politico. Ma questa indiscrezione è stata sempre smentita da tutti. 
Eppure il malumore nel Partito democratico è tangibile, benché in realtà la minoranza dura e pura, quella dei Fassina e dei Cuperlo, per intendersi, abbia perso molti pezzi. Nel frattempo, in Calabria, il candidato di Renzi alla presidenza di quella Regione ha perso le primarie contro il candidato di Cuperlo, e un renziano della prima ora, come Matteo Richetti, scalpita e vorrebbe «più coraggio». Che cosa sta veramente succedendo nel Partito democratico? Un autorevole esponente del renzismo della prima ora la spiega così: «Quello che sta accadendo è più o meno questo: è in corso una normale battaglia interna alla minoranza, che mi sembra esplicita e una interna alla maggioranza che si gioca invece abbastanza sotto traccia». 
È veramente così, per i renziani? L’uscita di Richetti lo farebbe pensare. E ieri un pensieroso Ermete Realacci, renziano, a guida della Commissione ambiente, ragionava così: «Diciamo la verità: alla gente non frega niente del Jobs act e del Tfr, ha bisogno di avere speranza. È quella che devi dare. Ma se invece vede solo le risse che speranza può avere? A quel punto può solo chiedersi: il premier “je la fa”?». 
In effetti i renziani sono divisi tra chi vorrebbe mediare di più e chi invece vorrebbe correre con maggior forza. Ma, come sempre, l’ultima parola spetta al premier, che pure ascolta i suggerimenti di tutti. Il 20 ottobre ascolterà minoranza e maggioranza del Pd, in direzione, parlare della forma partito, dopo la polemica sulle tessere che c’è stata. E, alla fine, dirà la sua: «I partiti organizzati come una volta non servono più, non sono più rappresentativi». E lancerà una nuova proposta.