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 2014  ottobre 07 Martedì calendario

In Germania avanza la nuova destra di Alternative für Deutschland: non vogliono l’euro e nemmeno gli islamici

Sono a destra della Cdu di Angela Merkel, con esattezza, perfino nella topografia dispersiva di una città senza centro. Almeno sulla carta, infatti, la distanza tra i due palazzi è di poche centinaia di metri. Dall’anonimo edificio biancastro dove si è insediato il quartier generale di Alternative für Deutschland, nella Schillstrasse, si può vedere, al di là del Landwehrkanal, quella specie di nave trasparente, proiettata all’esterno, dove la cancelliera, timone in mano, ha pronunciato tempo fa alcune parole disarmanti sulla minaccia rappresentata dal vittorioso partito antieuro. «La migliore risposta che possiamo dare loro è quella di governare bene», ha detto, cercando di tranquillizzare i fedelissimi. Niente paura, insomma, rimbocchiamoci le maniche e pensiamo a fare il nostro lavoro, i risultati ci daranno ragione. Sarà sufficiente? Non tutti lo pensano. Molti temono invece emorragie ancora più consistenti. 
Intanto, però, in quell’appartamento del sesto piano che guarda in lontananza verso la poco amata multietnica Kreuzberg si studiano le mosse dell’avversario, lo si incalza sempre più sui temi di un’Europa che «non va bene così come è adesso» e su quelli della difesa degli interessi nazionali tedeschi, scivolando spesso nel populismo. Si vede sventolare sul tetto del Konrad-Adenauer-Haus quella bandiera arancione dei cristiano-democratici a cui gli uomini del professor Bernd Lucke vogliono strappare qualche lembo. In attesa, magari, di rappresentare l’unica scelta per una futura coalizione di governo. La mappa della politica è in movimento, più ancora di quella della capitale inquieta che la ospita. 
Alternative für Deutschland, nata solo un anno e mezzo fa, è infatti reduce da alcuni successi clamorosi. Alle politiche del settembre scorso è rimasta appena al di sotto della soglia di sbarramento del cinque per cento. «Era solo una prova generale», dicono adesso. La conferma è arrivata ben presto con il voto europeo: sette deputati a Strasburgo, tra cui lo stesso Lucke e un vecchio alfiere dell’euroscetticismo come l’ex numero uno della Bdi, la «confindustria tedesca», Hans-Olaf Henkel. Un mese fa, in Sassonia prima (9,7%), in Turingia (10,6%) e Brandeburgo (12,2%) poi, sono arrivati trionfi superiori persino alle attese. E nelle battagliere campagne elettorali, in cui si è molto parlato anche di criminalità frontaliera o di referendum sui minareti, gli abiti di grisaglia antracite non sono stati indossati da tutti. 
«La Germania deve fare i conti definitivamente con un nuovo, forte partito», ha detto Lucke dopo le ultime vittorie. A chi hanno portato via i voti? Un po’ dovunque, riuscendo a essere tanto un punto di riferimento per egoisti conservatori middle class quanto per un elettorato popolare brontolone. «Angela Merkel ha ragione: siamo un problema per tutti», spiega al Corriere una delle teste più fini di Afd, il portavoce Konrad Adam. Filologo classico, ex giornalista della Frankfurter Allgemeine Zeitung , Adam riconosce che, certamente, il maggior numero di elettori in libera uscita vengono dal partito della cancelliera. Ma nei nuovi Länder i consensi arrivano a sorpresa anche dall’estrema sinistra della Linke e da chi aveva smesso di recarsi alle urne. «Scelgono noi — aggiunge — perché offriamo quella alternativa di cui sono stati privati dagli altri partiti». 
Il grande interrogativo, però, riguarda le affinità di Alterative für Deutschland con i movimenti dell’estrema destra tedesca (in Sassonia, per esempio, ha prosciugato il bacino elettorale dei neonazisti della Npd che sono rimasti fuori dal parlamento regionale) e le parentele con quelle forze antisistema e xenofobe che si stanno facendo largo in Europa. È un dato di fatto che tutti i dirigenti del nuovo partito hanno allargato il programma iniziale, schierandosi per limitare «il turismo del welfare», per un nuovo concetto selettivo di accoglienza degli immigrati, in difesa della famiglia tradizionale e a favore, più in generale, degli interessi economici tedeschi minacciati. I toni a volte, sono demagogici e non raramente ispirati da uno spirito reazionario. «Le donne vogliono portare i bambini all’asilo nido poco dopo il taglio del cordone ombelicale», è una frase famosa di Lucke. 
In realtà il leader di Afd è sempre stato molto sollecito nel respingere accuse di derive estremiste. In qualche caso si è smentito da solo, come quando ha scelto una parola molto infelice per sostenere la necessità di combattere «la degenerazione della democrazia». Per la capolista in Sassonia, Frauke Petry, il modello da seguire è quello «di una politica democratica di destra». Se gli si chiede una formula per definire il suo partito, Adam sottolinea che i vecchi schemi non valgono più e rivendica i valori del «ragionevole buon senso». Rimane prioritaria, aggiunge, la battaglia per smantellare l’unione monetaria, perché la sua esistenza è il primo ostacolo per un futuro migliore dell’Europa. «Noi abbiamo la pretesa — dice — di essere migliori europei degli altri». 
«Sono conservatori vecchio stile, non estremisti o radicali di destra», sottolinea il politologo Jürgen Falter, secondo cui Afd non è oltranzista come il Front National francese, non è nazionalista come l’Ukip in Gran Bretagna, non è xenofoba come la Fpö austriaca. «Li paragonerei piuttosto — aggiunge — al Partito popolare svizzero, una forza politica patriottica e isolazionista». Sarà anche vero, almeno in parte, ma le differenze tra patriottismo e nazionalismo sono abbastanza tenui, soprattutto in una Germania che deve fare molta attenzione al fascino indiscreto di questi due sentimenti. È una realtà, comunque, che a livello locale, Alternative für Deutschland ha civettato con ambienti di estrema destra e non ha voluto o potuto «filtrare» il personale politico che oggi la rappresenta. Ne è una dimostrazione chiara il recente caso del deputato regionale brandeburghese Jan-Ulrich Weiss, che ha pubblicato una vignetta antisemita sulla sua pagina di Facebook provocando la reazione indignata del presidente del consiglio centrale degli ebrei tedeschi, Dieter Graumann. «Lo abbiamo allontanato dal gruppo parlamentare», ci spiega adesso Adam. 
In ogni caso, la preoccupazione aumenta. A paragonare pochi giorni fa il partito di Lucke al gruppo di estrema destra dei Republikaner non è stato l’ultimo arrivato, ma un uomo autorevole, fedele all’Europa, come il ministro delle Finanze Wolfgang Schaüble. «Dobbiamo combatterli con determinazione», ha detto. E all’ironia del vecchio leone cristiano-democratico, secondo cui è sconveniente che proprio un professore di economia dica sciocchezze sulla moneta unica, la risposta sono stati sgradevoli attacchi personali. Non è stato bello.