il Fatto Quotidiano, 6 ottobre 2014
Ultime notizie sugli amori tra Michelangelo Antonioni e Monica Vitti
Nello scorso RiFatto raccontando la ex-Sarom di Ravenna ci siamo imbattuti nel regista ferrarese Michelangelo Antonioni e nel suo Deserto Rosso. In una nota scena del film Monica Vitti narra al figlio la favola della ragazzina che vive immersa nella natura finché un veliero misterioso non turba la sua quiete. Quello scenario da paradiso in cui nuota la bimba è la spiaggia rosa dell’isola di Budelli nel nord della Sardegna, all’epoca proprietà dell’imprenditore milanese Pierino Tizzoni che la prestò all’amico regista per le riprese. Nel 1963 Tizzoni, colpito dall’acquisto ai fini di sfruttamento turistico della Costa Smeralda da parte del principe Aga Khan, comprò migliaia di ettari di terreno in Gallura. Intendeva edificare il suo villaggio turistico scavando le rocce di granito rosso della costa di Trinità d’Agultu a circa un’ora da Olbia e quando mostrò all’amico Antonioni quei luoghi incontaminati, quest’ultimo decise di farci costruire una villa, per impressionare la compagna Monica Vitti e per trascorrere le vacanze con lei.
“Non voglio una casa ma uno spazio tridimensionale”, disse il regista all’architetto bolognese Dante Bini. “Odio gli appartamenti, voglio vivere in una scultura che sia scavata nella roccia, che profumi della natura circostante. L’architettura non è solo ombre e luci, deve essere anche odore. Ha mai provato a sentire l’odore di una pietra?”. Poi prese un pezzo di granito rosso e lo avvicinò al naso dell’architetto, già piuttosto confuso dalle sue richieste. “Voglio una casa che odori di pietra. Con un letto che profumi di ginepro e voglio che abbia un suono”. “Un suono?” domandò Bini. Non aveva mai sentito niente di simile. “Venga, ascolti il suono delle onde del mare. La mia casa deve averlo dentro quel suono. Voglio ascoltare il vento che viene dal mare”. Antonioni sognava evidentemente una villa incastonata negli scogli come quella che Curzio Malaparte fece costruire all’architetto Adalberto Libera nel 1938 a Capri e che Godard ritrasse nel film Il disprezzo del 1963, con Brigitte Bardot. Dante Bini aveva da poco brevettato il sistema di costruzione Binishell, un’architettura autoformante che divenne la sua fortuna e che poteva rispondere alle esigenze. La sua idea nacque osservando la struttura di copertura gonfiata ad aria del campo da tennis dei Giardini Margherita di Bologna. E qual’era? Gonfiare con aria compressa una gettata di cemento circolare inserita in due membrane di ferro e, una volta che questa si innalza e prende la forma di cupola, tagliare porte e finestre prima delle due ore in cui il cemento solidifica. Così Bini alzò la Cupola nel 1969 coi costruttori Giovanni e Sebastiano Pola, su uno scoglio della Costa Paradiso. Tagliarono lunghe finestre a nord ovest, in modo che appena entrati ci si trovasse il mare di fronte, aprirono il tetto per far vedere il cielo e sentire la pioggia, e la circondarono di piante, in modo che sembrasse una pietra immersa nella macchia mediterranea.
Ma la personalità autonoma e indipendente della Vitti, che Antonioni ben ritrasse nel film L’Avventura proponendo al pubblico italiano un nuovo tipo di donna, spinse il regista a far costruire una nuova cupola solo per l’attrice, più piccola e a un centinaio di metri dalla sua. Sistemazione che ricalcava quella a Roma, dove i due vivevano in appartamenti singoli collegati da una botola con scala a chiocciola. Poi le storie finiscono e, conclusa quella tra Antonioni e la Vitti, i due monoliti rimasero là e deperirono passando da un proprietario all’altro. Oggi la Cupola, studiata nelle università di tutto il mondo e insediata in un territorio colpito dalla speculazione edilizia, è una proprietà privata lasciata in abbandono, per molti un pugno nell’occhio del panorama, e rappresenta una storia che sta franando lentamente come il cemento di cui è fatta. È una delle tante strutture segnalate su sardegnaabbandonata.it , sito che raccoglie foto e video di paesi fantasma, edifici in degrado e archeologia industriale. Noi abbiamo chiesto all’artista italiana Alice Pasquini di osservare la Cupola e di proporre a RiFatto il bozzetto di un murale che vi si potrebbe realizzare, per celebrare una delle grandi storie d’amore del 20° secolo, espressione del migliore cinema italiano apprezzato in tutto il mondo.