6 ottobre 2014
L’incidente di Jules Bianchi: un dramma che la F.1 poteva evitare
Il meglio degli articoli di oggi sull’incidente del pilota di Formula 1 Jules Bianchi al Gran Premio di Suzuka.
Nell’era in cui tutto si vede un ragazzo di 25 anni, cresciuto nel vivaio in Ferrari e tifoso del Milan, è scomparso dietro una curva di Formula Uno. Jules Bianchi, francese di Nizza, faccia alla Jean Paul Belmondo, pilota della Marussia, al 42esimo giro del Gp di Suzuka, è diventato invisibile. Purtroppo schiacciato sotto un mezzo di recupero. Ora è intubato, in rianimazione, dopo un’operazione al cervello. Nessuno ha visto il suo schianto contro una gru di soccorso che stava rimuovendo un’altra auto uscita di pista, la Sauber di Sutil, nella stessa curva 7. Solo le telecamere a circuito interno, che non hanno diffuso le immagini, conoscono la dinamica dell’incidente [Emanuela Audisio, Rep 6/10].
Estratto dalla vettura, Bianchi è stato portato via in ambulanza (l’elicottero, causa nebbia, non poteva decollare): i medici l’hanno immediatamente operato alla testa. Trauma cranico severo – il pilota ha sempre respirato autonomamente –: rimosso un ematoma, si è constatata un’emorragia imponente [Flavio Vanetti, Cds 6/10].
L’incidente è un crudele mix di fatalità e superficialità: alla curva 7 esce prima di pista Adrian Sutil, un botto contro le barriere di protezione come se ne vedono ogni domenica negli autodromi. Un giro dopo, con la stessa dinamica, tocca a Bianchi, che trova sulla via di fuga un mezzo di soccorso pesante 12 tonnellate e ci finisce sotto. Il casco resiste, ma l’impatto è così devastante da sradicare il roll-bar della Marussia. Charlie Whiting, direttore della corsa, stavolta si accorge dell’emergenza e schiaccia il pulsante di game over. [Stefano Mancini, Sta 6/10].
I commissari di gara non hanno intuito subito il pericolo e hanno dato solo l’ordine di una doppia bandiera gialla (si vede addirittura una bandiera verde), che dà allarme, è vero, obbliga a rallentare, ma solo quando i piloti la vedono (e con la pioggia e il buio incombente sul finire della gara la visibilità era scarsissima). La fatalità ha avuto un ruolo pesante, ma forse sarebbe stato meglio gettare subito in pista la safety car, che mette tutti in fila indiana e allerta subito il pilota, visto che l’avvertimento dentro l’abitacolo è sonoro. Bianchi non deve aver visto nulla, non deve aver capito niente, ha perso il controllo della macchina, nella stessa curva 7, è uscito di pista e si è ritrovato sotto questa gru [Stefano Zaino, Rep 6/10].
Un botto tremendo, a circa cento chilometri orari, con una forza d’urto di 50 g, enorme, se si pensa, come sostengono molti medici, che 78 g è il limite oltre il quale un corpo umano non può resistere all’impatto (ma qui c’è l’aggravante che la parte lesa è la testa).
[Stefano Zaino, Rep 6/10].
Con una ruspa in pista, un Gran Premio va fermato, neutralizzato. Non c’è margine per il dibattito di fronte all’assurdo incidente di Jules Bianchi a Suzuka. È di rigore una presa di responsabilità da parte della Direzione Corsa. La quale sa perfettamente che in alcuni punti della pista, in caso di macchina da rimuovere, sono posizionati dei mezzi pesanti (trattori o simili, in assenza di gru di lungo braccio). Che per sgombrare una via di fuga, devono invadere una zona a rischio. Nello specifico, la Sauber di Sutil, ferma in un punto pericoloso. Non bastano, dunque le bandiere gialle. Serve la Safety Car, chiamata spesso a intervenire per questioni meno rilevanti, oppure serve decretare lo stop [Giorgio Terruzzi, Cds 6/10].
L’Italia e la F1 sono da sempre nel destino di questo ragazzo di 25 anni, nato e cresciuto a Nizza, ma con le radici a Milano (e chissà se è per questo, ma Jules è tifoso del Milan che ieri si è unito ai tanti messaggi di solidarietà). A Milano erano nati, prima di emigrare in Belgio, il nonno Mauro (pilota di F2, F3 e di Endurance) e Lucien, lo zio battezzato Luciano, che corre anche in F1, vince la 12 Ore di Sebring e la 24 Ore di Le Mans, finisce a impersonificare se stesso nei fumetti di Michel Vaillant e muore, andando a sbattere contro un palo del telegrafo, durante le prove di Le Mans nel ’69 [Arianna Ravelli, Cds 6/10].
Anche per questo, il padre di Jules ha limitato la passione per i motori alla gestione di una pista di kart a Brignoles e, anche per questo, Jules è diventato professionista tardi e con qualche resistenza familiare, soprattutto di nonno Mauro. Ma in eredità a Jules è arrivato anche il talento puro, che spinge Nicolas Todt (il figlio di Jean, attuale presidente della Fia), a investire in prima persona nella sua carriera, almeno fino a quando, nel 2009, la Ferrari lo prende nella sua Academy [Arianna Ravelli, Cds 6/10].
Da Maranello, pur gareggiando per tre stagioni in GP2, Bianchi ottiene la fiducia della squadra, che lo impegna in una serie di test, con la F60 a Jerez e con una F10 ad Abu Dhabi in una sessione di prove di pneumatici. Il ragazzo, benvoluto da tutti, lavora al simulatore e guida le Ferrari stradali a Fiorano per gli sponsor. Nel 2012 assume il ruolo di terzo pilota per la Force India in F1. Dallo scorso anno è titolare della Marussia. Nel maggio di quest’anno il suo primo piccolo capolavoro. È ottavo nel Gp di Montecarlo (poi retrocesso al nono posto per una penalità di 5 secondi) ma porta alla sua squadra 2 punti che valgono tanti milioni di euro in premi da parte di Ecclestone. Il risultato viene salutato dal team russo come una vittoria [Cristiano Chiavegato, Sta 6/10].
Oltre alle doti tecniche, anche il profilo umano è importante. Un uomo squadra, alla mano con il team, senza atteggiamenti da primadonna. Il paragone più semplice è quello con Felipe Massa, non a caso suo grande amico. «Sono uno con cui è facile lavorare», ama raccontare. Patito dell’allenamento, spesso compagno di Alonso nelle uscite in bicicletta. Intelligente, parla quattro lingue [Davide Pisoni, Grn 6/10].
Nella drammaticità del momento spunta il ricordo di una vicenda maledettamente simile: luglio 2012, la spagnola Maria de Villota, a sua volta driver della Marussia, debuttava in F1 come collaudatrice. In un test a Duxford si schiantò contro un camion del team; riportò ferite gravissime, perse un occhio, si riprese dopo mesi tremendi, ma morì nell’ottobre 2013 per un attacco cardiaco che i medici ritennero conseguenza di quel crash. Ieri, al giro 43, alla «Dunlop», la sorte ha incrociato il ragazzo che aveva fretta di diventare un asso e che giovedì, prima che si sapesse di Vettel in rotta verso la Ferrari, ammetteva di sentirsi pronto qualora il Cavallino lo avesse chiamato a rimpiazzare Alonso [Flavio Vanetti, Cds 6/10].
Vent’anni dopo la morte di Ayrton Senna, avvenuta sotto gli occhi del mondo, la F1 sembrava più sicura e attrezzata. Macchine più robuste, vie di fuga e barriere aumentate. La povera collaudatrice Maria De Villota (sempre su Marussia) due anni fa era finita sotto un camion d’appoggio, ma durante un test, e anche per colpa di un guasto meccanico. Ora invece è di nuovo polemica su come il campionato mondiale gestisce le corse. Felipe Massa della Williams: «Il Gp è iniziato troppo presto ed è finito troppo tardi. Si è perso troppo tempo. Erano già cinque giri che gridavo alla radio che la gara andava fermata e che non si vedeva niente» [Emanuela Audisio, Rep 6/10].