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 2014  ottobre 03 Venerdì calendario

A Dallas è caccia ai contagiati. «Potrebbero essere più di cento»

Evitare il panico. È una parola, ora che Dallas sa quante persone sono entrate in contatto con Thomas Eric Duncan: almeno cento, forse di più.
Compresi i bambini di quattro o cinque scuole che adesso sono sotto controllo, aspettando e sperando di non essere trascinati nell’incubo lontano, e ora vicinissimo, dell’Ebola. E la psicosi non si ferma qui: anche ad Honolulu, alle Hawaii, c’era una persona in isolamento che poteva essere malata, più casi sospetti nello Utah e New York.
Le notizie paurose ormai si rincorrono di ora in ora, vere, false, o approssimative che siano. Sappiamo per certo che Duncan era partito da Monrovia, dopo aver contratto l’Ebola aiutando una giovane ragazza malata, Marthalene Williams. La donna era figlia dei proprietari della sua casa, aveva 19 anni ed era incinta. Thomas l’ha portata in ospedale e così è stato contagiato. Le autorità della Liberia ora sospettano che sapesse di essere malato, e quindi è partito per gli Stati Uniti con la scusa di andare a trovare la sorella Mai Wureh, che vive a Dallas. In realtà, come cercano di fare tutti gli africani sfiorati dall’Ebola, voleva venire in America sperando di essere curato meglio. Perciò ha mentito nel questionario all’aeroporto, negando di aver avuto contatti con malati. La giustizia del suo paese ora vuole processarlo, se mai sopravviverà.
Da Monrovia Duncan è volato a Bruxelles. In quel momento non presentava ancora i sintomi e quindi non era contagioso, ma siccome nessuno ha detto tutta la verità su questa storia, c’è chi teme che in realtà li stesse nascondendo. Da Bruxelles ha preso un volo per Washington, aeroporto Dulles, e da li è andato a Dallas. Ha volato con la United Airlines, e anche se le autorità sanitarie americane insistono che i circa 400 passeggeri non erano a rischio, la compagnia aerea li sta avvertendo tutti. E i suoi titoli intanto precipitano a Wall Street.
Una volta passati i controlli alla frontiera di Dallas, Duncan è andato agli Ivy Apartments, su Fair Oaks Avenue, dove vive la sorella. Il 24 si è sentito male, il 26 è andato al Texas Health Presbyterian Hospital, ma lo hanno rimandato a casa con un po’ di antibiotici. Solo il 28, dopo aver vomitato in mezzo alla strada davanti alla casa della sorella, è stato ricoverato. Dunque tutte le persone entrate in contatto con lui fra il 24 e il 28 ora potrebbero essere malate. Almeno cento, secondo le autorità sanitarie di Dallas e Thomas Friedman, capo dei Centers for Desease Control di Atlanta.
Chi sono questi potenziali malati che i medici stanno freneticamente cercando? Prima di tutto i quattro famigliari più stretti, cioè la compagna, suo figlio e due nipoti, che hanno ricevuto l’ordine dal tribunale di non uscire di casa fino al 19 ottobre, quando scadrà il periodo di incubazione dell’ebola. Non possono ricevere visite, tranne le persone incaricate di portare loro da mangiare e disinfettare l’appartamento, che però finora si sono rifiutate di entrare, lasciando in giro vestiti, lenzuola e asciugamani usati da Duncan.
Poi, purtroppo, i cinque bambini in età scolare che avevano incontrato Thomas dopo la comparsa dei primi sintomi. Andavano alla Sam Tasby Middle School, L.L. Hotchkiss Elementary School, Dan D. Rogers Elementary School, Emmett J. Conrad High School, e forse anche Jack Lowe Sr Elementary School. I genitori degli studenti di queste scuole hanno ricevuto una lettera, o sentito un messaggio telefonico, che li avvertiva: «Uno dei nostri allievi potrebbe aver avuto contatti con un individuo che è stato diagnosticato di recente con il virus dell’Ebola».
Cosa fareste, voi? Kia Collins, che ha quattro figli di età compresa fra 5 e 11 anni alla L.L. Hotchkiss, non ha avuto dubbi: «Sono terrorizzata, li terrò a casa tutta la settimana». Le autorità scolastiche rassicurano, giurano che nessuno dei cinque bambini ha mostrato sintomi: ma non era così anche quando Duncan si era imbarcato sull’aereo che lo ha portato da Monrovia a Bruxelles? Chi può avere la certezza? Quindi è fuga dalle scuole, con i genitori che si guardano a vicenda con sospetto. Chi mente e chi dice la verità? Chi sono gli untori fra di noi? Solo alla Conrad High si parlano 32 lingue, tanti sono gli immigrati: hanno capito tutti cosa sta succedendo?
Ma la caccia al contagio non si ferma qui. I medici dicono che Duncan è entrato in contatto con almeno cento persone, da quando ha manifestato i primi sintomi: le stanno cercando tutte, per sapere come stanno e con chi sono entrate a loro volta in contatto. Un numero che potrebbe allargarsi in fretta, se fosse confermato il secondo contagio sospettato a Dallas, anche se le autorità insistono che l’ebola non si passa facilmente, e i contatti secondari rischiano molto meno dei primari. Già, però poi senti Anthony Banbury, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon per l’emergenza ebola, che avverte: «Più il virus circola fra gli esseri umani, più aumenta il pericolo che muti e diventi trasmissibile per via aerea». Così sarebbe un incubo, se non lo fosse già.
E poi, quante persone come Thomas Duncan si sono imbarcate su un aereo prima di manifestare i sintomi, e ora sono malate in chissà quale angolo del mondo? Le Hawaii hanno messo in quarantena e poi rilasciato un paziente, ma girano voci di allarmi anche nello Utah e a New York. Un esperto operativo, che sta lavorando per contenere il contagio, avverte: «Ci vorranno almeno sei mesi, per fermare l’epidemia. Moriranno altre persone, e siamo sorpresi che finora sia comparso un solo caso fuori dall’Africa».