3 ottobre 2014
L’Opera, senza coro né orchestra
Il meglio degli articoli di oggi sul licenziamento collettivo di musicisti e coristi del Teatro dell’Opera di Roma.
«Mi aspetto una scelta coraggiosa e di svolta» (Tweet del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini) [Liuzzi, Fat].
Un licenziamento collettivo. Il Teatro dell’Opera di Roma è ingestibile, il sovrintendente Carlo Fuortes, con il sindaco Marino (per statuto presidente del Teatro) e i soci, il ministro Franceschini e il governatore Zingaretti danno il benservito a orchestra e coro: dal primo gennaio 2015 saranno (con un termine brutto ma non evitabile) esternalizzate. Il licenziamento riguarda 182 dipendenti su 460. Le buste paga dei 92 orchestrali e dei 90 coristi sono garantite fino a Natale [Cappelli, Cds]. Ma attenzione: da gennaio tutti gli artisti ritorneranno a lavorare, solo che dovranno essere riuniti sotto un nuovo soggetto giuridico [Canettieri, Mess].
Un’associazione o una cooperativa che si accorderà con il Teatro per i contratti stagionali. In base a criteri legati all’efficienza, senza più accordi integrativi dalle indennità fantasiose (quelle per il frac o per le trasferte a Caracalla...) e dai privilegi un po’ fuori mercato visti i tempi. [Mess]. Restano il corpo di ballo, i tecnici, gli amministrativi [Tem].
Con l’esternalizzazione Fuortes conta di risparmiare 3,4 milioni. Coro e orchestra ne costano 12,5 l’anno: «Non ci sono stati corpi artistici a favore o contro. La gran parte del teatro è a favore del piano. Non c’è alcuna intenzione ritorsiva. L’unico elemento è una valutazione sulla funzionalità [Liuzzi, Fat] pensare il contrario è volgare e offensivo» [Vitale, Rep].
«Lo Stato deve garantire con denaro pubblico la cultura. Sono anni che tagliano, ma mai una legge di sistema per lo spettacolo dal vivo. Solo leggi mirate alla ristrutturazione. Franceschini e Nastasi credono che i teatri siano centri commerciali e, al posto dei sovrintendenti, ragionieri come Bianchi e commercialisti come Fuortes» (Massimo Cestaro, segretario della Cgil del settore, ad Anna Benedettini su Repubblica).
«Esternalizzare vuol dire far rinascere il teatro su basi più moderne» (Salvo Nastasi, direttore generale dello Spettacolo) [Vitale, Rep].
«Basta con queste baggianate. La verità è che le fondazioni liriche vengono distrutte da un certo Salvo Nastasi, direttore generale dello Spettacolo: cambiano i governi e lui è sempre lì. E da Carlo Fuortes. Altro che manager: chiudiamo e riassumiamo con cooperative esternalizzate... Son buoni tutti» (Massimo Cestaro a Anna Benedettini su Repubblica).
Il 2013 è stato puntellato da un crescendo rossiniano di guerre sindacali e scioperi estivi a Caracalla, tensioni e minacce culminato con l’addio a piazza Beniamino Gigli del maestro Riccardo Muti. Un pasticciaccio, dalla eco internazionale, che stava per vanificare l’anno di sacrifici imposti per ripianare un deficit da 12 milioni di euro e il lavorio messo in piedi per usufruire della Legge Bray (sono in arrivo 20 milioni) [Canettieri, Mess].
«Ecco perché – spiega Salvo Nastasi, direttore generale del Mibact per lo spettacolo dal vivo – avremo una doppia ripartenza per la rinascita: nessuno perderà il posto, lavoreranno tutti, ma lo Stato, principale finanziatore delle fondazioni liriche con 300 milioni all’anno, non si può permettere di buttare i soldi» [Canettieri, Mess].
«Siamo qui increduli, ma faremo il nostro lavoro in buca come sempre… se qualcuno non si suicida prima lo spettacolo si fa e va avanti» (un violinista) [A.B., Rep]
Sotto choc i sindacati: «Nella ignoranza dilagante su come funziona un teatro d’Opera ci sarà ancora qualcuno che proverà a sostenere che questa sarebbe una buona strada per rivitalizzare il teatro. Altri diranno che questa è una scelta sofferta. La verità è in corso una strategia di smantellamento delle istituzioni culturali del nostro Paese» (Massimo Cestaro). [Liuzzi, Fat]
Il teatro dell’Opera deve far fronte a un buco di 28,8 milioni, causato dalla passata gestione e la protesta sindacale degli ultimi mesi lo ha allargato di ulteriori 4 milioni e 200 mila euro: ora vi si deve far fronte, pena l’uscita dalla legge Bray, che assicurerà all’Opera 25 milioni.
Oggi si avvia la procedura che, secondo la legge 223 del 1991, dura al massimo 75 giorni: i primi 45 per «la trattativa», gli altri 30 per completare la questione sui tavoli istituzionali [Cappelli, Cds].
E poi ci sono le dimissioni di Muti che hanno avuto due effetti. I soci della fondazione si sono compattati per risolvere l’ingovernabilità alla radice. Ma allo stesso tempo la fuga sdegnata del maestro ha prodotto un danno di immagine ed economico. A partire dal bilancio: quattro sponsor, con contratti da un milione di euro ciascuno, hanno deciso di non scommettere più sulla lirica della Capitale [Cappelli, Cds].
Lo sciopero di Carcalla è costato 700 mila euro.
In calendario ci sono l’Aida e le Nozze di Figaro ma dopo l’addio di Muti nessuno lo ha sostituito. Marino: «Al momento non abbiamo immagino di cancellare l’opera verdiana del 27 novembre. Ci attiveremo per ricercare un direttore da individuare entro la prima settimana di novembre, altrimenti non ci sarà l’Aida» [Amabile, Sta]
Dal punto di vista ufficiale, l’addio di Muti è tutta colpa della sua orchestra e non del ministro, del sindaco e del soprintendente. Una versione parziale. Anche perché Muti non lo ha mai detto. Ha semplicemente parlato di quella mancanza di tranquillità che lo aveva spinto ad accettare l’onere, più che l’onore, di dirigere il teatro. E l’addio di Muti, più che uno schiaffo alla “sua” orchestra, si trasformerà in un boomerang per il governo che, spesso e volentieri, parla di cultura. Molto più facile esportare come cultura le mozzarelle di Eataly che l’Aida. [Liuzzi, Fat]
«Nel contratto integrativo sono presenti delle vere aberrazioni, ostacoli alla produttività e indennità assurde. Se un musicista suona quattro ore un’opera di Wagner percepisce uno stipendio, se suona per un’ora una sinfonia di Beethoven, guadagna il doppio. Esistono indennità legate al tipo di strumento: una tromba in sol è un conto e una tromba in sibemolle, tutto un altro. Ma esistono anche indennità legate al numero di musicisti: lo stipendio aumenta se si è in dieci, nonostante sia previsto dalla partitura» (Carlo Fuortes a Simona Antonucci sul Messaggero).
Dario Franceschini: «I musicisti se vorranno, potranno, come avvenuto da altre parti, dare vita a un’orchestra nuova, basata su relazioni trasparenti, sulla qualità e sull’innesto di giovani talenti, che punti a ricostruire con il Teatro un nuovo e diverso rapporto».
«Il contratto integrativo dell’Opera di Roma, così come si era sviluppato negli ultimi decenni, rappresentava sicuramente un freno alla produttività e allo sviluppo. E il superamento di questo modello sarà un modo per far ripartire la lirica in Italia» (Carlo Fuortes)
Per l’Italia è una rivoluzione, nei paesi europei è una consuetudine. «In Francia sono molti i teatri che lavorano con orchestre esterne, autonome, in Spagna quasi tutti, in Olanda, ovunque», hanno ricordato ieri in conferenza Marino e Fuortes. E gli stessi orchestrali licenziati potranno organizzarsi per partecipare alla selezione [Cherchi, S24]. Peccato però che i teatri citati non siano gli omologhi del teatro dell’Opera come il Covent Garden, L’Opéra di Parigi o lo Staatper di Berlino [Tozzi, Tem].
Il modello italiano, nato subito dopo le proteste sessantottine, è rimasto unico nel panorama europeo dove invece sono numerose (e prestigiose) le orchestre gestite da organismi autonomi, con musicisti riuniti in associazioni o cooperative, legate ai teatri da convenzioni. Un modo per alleggerire i costi del personale, ma che in cambio consente una maggiore libertà agli artisti di proporsi (con modalità scritte e sottoscritte) sul libero mercato.
In Inghilterra sono maestri: sul sito della London Symphony Orchestra, compare la scritta “On Hire”, in affitto. Ha una convenzione con il Comune di Londra, ma svolge parallelamente decine di altre attività: oltre a suonare nelle sale di maggior prestigio offre una squadra disponibile a ogni tipo di servizio. I Wiener lavorano contemporaneamente nel teatro di Vienna e in tournée, per balletto, stagione sinfonica e lirica. Autonomi e potentissimi i Berliner. Il loro brand è talmente alto da vantare un calendario inarrivabile. Il modello più amato in Spagna e adottato dal 1996 dal teatro Real di Madrid. Tra le realtà più giovani del panorama europeo, la sala venne inaugurata nel 1996 su un progetto di Lissner ed è gestita da una Fondazione che ha come socio maggioritario il Governo e non prevede sul libro paga né orchestra né coro né corpo di ballo. Il contratto di servizio con una cooperativa di musicisti che risponde a un direttore generale dura cinque anni, è stato puntualmente rinnovato, senza scioperi, senza chiusure di sipario [S. Ant., Mess].