30 settembre 2014
Tfr in busta paga, un affare per i lavoratori?
Il meglio degli articoli di oggi sul caso del Tfr in busta paga di Valentina Conte su Repubblica, Margo Rogari sul Sole 24 Ore, Michele di Branco sul Messaggero, Marco Sodano sulla Stampa, Rita Querzé sul Corriere della Sera, Massimo Gramellini sulla Stampa.
Il Tfr in busta paga, a partire da gennaio. Il governo ci lavora dalla scorsa estate, anche se al ministero dell’Economia «non se ne è mai discusso» e «non esiste un piano», dicono in coro viceministri e sottosegretari. Ma ieri Matteo Renzi l’ha ufficializzato, alla direzione del Pd. Aggiungendo subito che occorrerà «un protocollo tra Abi, Confindustria e governo» che consenta di «attingere» agli strumenti messi a disposizione dalla Banca centrale europea per compensare le piccole e medie imprese della inevitabile sottrazione di liquidità, «soprattutto quelle sotto i dieci dipendenti» [Conte, Rep 30/9/2014].
L’operazione in prima battuta interesserebbe solo i lavoratori del settore privato. E alle imprese dovrebbe essere garantito quanto meno lo stesso meccanismo fiscale agevolato previsto attualmente nei casi di destinazione del Tfr ai fondi pensione. Resta da capire come l’intervento potrà essere esteso gli statali, per i quali la liquidazione è di fatto figurativa [Rogari, S24 30/9/2014].
I calcoli sono presto fatti. Dalle dichiarazioni di 16 milioni di contribuenti dipendenti privati risulta che la retribuzione lorda media è di 19.750 euro. Che al netto diventano 14.870. Questi lavoratori, che già godono del bonus fiscale, a fine mese portano a casa poco più di 1.200 euro. Mentre l’azienda o l’Inps trattengono 104 euro di trattamento di fine rapporto: vale a dire il 7,41% del salario lordo. Nel caso in cui la riforma immaginata da Palazzo Chigi diventasse realtà, quei soldi irrobustirebbero lo stipendio di altri 75 euro. E cioè quel che resta dopo aver imposto un’aliquota Irpef del 26%. Ovviamente, le cose andrebbero in maniera differente se si decidesse di inserire solo il 50% del Tfr in busta paga lasciando il resto nelle casse del sostituto d’imposta o della previdenza statale. In quel caso, lo stipendio netto medio degli italiani subirebbe un’accelerazione limitata a 40 euro mensili. Un mini bonus [Di Branco, Mess 30/9/2014].
Oggi su 22-23 miliardi di flusso annuo di Tfr, 11 miliardi restano in azienda, 6 finiscono nel fondo di tesoreria, 5 e mezzo ai fondi pensioni. Con l’ipotesi del 50% del Tfr in busta paga, otto miliardi e mezzo potrebbero finire dunque negli stipendi. «Io sono perché si alzi il salario dei lavoratori», dice non a caso Renzi. E tutto fa brodo, anche il “salario differito”, per uno «scatto ulteriore del potere di acquisto» [Conte, Rep 30/9/2014].
Il premier ha parlato di usare i soldi della Bce per garantire il credito: la liquidità garantita dalla Banca centrale europea deve andare alle imprese per definizione, un impiego del genere rispetterebbe lo spirito delle iniezioni decise dall’Eurotower. Bisognerà poi vedere, però, se il credito verrà concesso alle singole imprese, che andranno a chiedere il denaro in banca: visto com’è andata negli ultimi anni è legittimo che gli imprenditori abbiano qualche dubbio sugli strumenti che dovrebbero sconfiggere il credit crunch [Sodano, Sta 30/9/2014].
Le imprese non sembrano entusiaste: perché? Perché parte di quel denaro lo custodiscono loro e dovrebbero sborsarlo subito. Nelle pmi sotto i cinquanta dipendenti, il Tfr di chi non ha scelto un fondo pensione dopo la riforma del 2006 (ovvero la maggior parte dei lavoratori italiani) resta in azienda. Le imprese usano questo denaro per finanziarsi. L’ammontare totale annuo accumulato dagli italiani vale circa 24 miliardi (su 326 miliardi di retribuzioni). Di questi il 40% matura nelle pmi, 10,8 miliardi [Sodano, Sta 30/9/2014].
Molti i problemi aperti. Il primo è fiscale. Il Tfr a oggi gode di un trattamento privilegiato, la tassazione separata. Se finisce in busta paga, si cumulerà con la parte restante del reddito, contribuendo ad alzare l’aliquota marginale Irpef? Si pagheranno cioè più tasse? Al momento nulla si sa. L’ostacolo è però aggirabile con la ritenuta alla fonte, ad esempio. Oppure considerando quell’anticipo come acconto sul Tfr finale, dunque tassato allo stesso modo (agevolato) [Conte, Rep 30/9/2014].
Poi c’è la questione della sostenibilità finanziaria dei bilanci dell’Inps e delle piccole e medie imprese. «Così affossiamo il sistema dei fondi pensione che già in Italia non è decollato come in altri Paesi», è l’obiezione di Alberto Brambilla, esperto di previdenza e sottosegretario al Welfare dal 2001 al 2005. Ma l’ostacolo sarebbe anche un altro: «Oggi ogni anno gli italiani maturano Tfr per un valore di circa 25 miliardi. Di questi, 5,2 vanno ai fondi pensione. Altri 6 all’Inps. Circa 14 si fermano nelle casse delle piccole imprese – fa il punto Brambilla –. Se il premier vuole dare subito il 50% del Tfr ai lavoratori, allora si creerà un buco da 3 miliardi l’anno nelle casse dell’Inps che andrà coperto» [Querzé, Cds 30/9].
Per finire, c’è una questione legata alla previdenza. Sollevata tra gli altri da Maurizio Del Conte, giuslavorista della Bocconi di Milano: «Il Tfr serve a fornire una sicurezza in più al lavoratore che esce dall’azienda. Dare i soldi subito vuol dire smettere di guardare al futuro» [Querzé, Cds 30/9].
In più, senza correttivi all’attuale struttura, il rischio è quello di prendere dei soldi oggi rinunciando a maggiori benefici domani. E questo perché il denaro che il lavoratore lascia nelle casse dell’azienda (o dell’Inps se si ha un contratto con una struttura con più di 50 dipendenti) subisce una crescita annuale prodotta da un interesse medio dell’1,5% al quale si aggiunge la rivalutazione del 75% del tasso d’inflazione. In pratica nel giro di 10 anni il Tfr può rivalutarsi del 15-20% polverizzando il vantaggio di un incasso immediato [Di Branco, Mess 30/9/2014].
Non è la prima volta che si parla di un anticipo del Tfr. Poi non se ne fece nulla. Nell’agosto del 2011 fu l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti sondò questa possibilità. Alla fine fu scartata perché troppo complicata: come fare con chi versa il Tfr in un fondo complementare per irrobustire la pensione? E gli Statali? Nel pubblico impiego chi è stato assunto prima del 2001 non riceve il Tfr ma il Tfs (trattamento di fine servizio): l’80% dell’ultima retribuzione moltiplicato per gli anni di servizio. Fino al pensionamento non è possibile sapere quanti soldi ha diritto di ricevere ogni lavoratore [Sodano, Sta 30/9/2014].
Nel migliore dei mondi possibili sarebbe persino apprezzabile il tentativo di trasformare il lavoratore in un adulto. Per decenni lo si è trattato come un irresponsabile che andava protetto da se stesso. Non gli si potevano dare tutte le spettanze nel timore che le divorasse, arrivando nudo alla meta, solitamente micragnosa, della pensione. Sminuzzando il Tfr in rate mensili, si affida al beneficiario lo scettro del proprio destino: toccherà a lui, non più al datore di lavoro o allo Stato Mamma, decidere la destinazione dei suoi soldi. Purtroppo la realtà non è fatta della stessa sostanza degli annunci [Gramellini, Sta 30/9/2014].