Corriere della Sera, 26 settembre 2014
Travolta : una vita di gioie e dolori ma sono perseguitato dal gossip
«La vita mi ha dato e tolto molto. Ma se considero i grandi dolori della mia vita, mi dico che io, figlio di un venditore di pneumatici, ho avuto davvero tanto», dice John Travolta. Rivivono nelle parole dell’ex ragazzo del sabato sera tanti capitoli di una esistenza tra alti e bassi. Dal successo di Grease al lungo periodo di oblio. Poi la rinascita con Pulp Fiction di Tarantino. E nuovi trionfi, la sofferenza per la morte del figlio sedicenne Jett nel 2009, le insinuazioni su presunte relazioni gay. E la realtà di oggi. Travolta che a 60 anni gira un film dopo l’altro….
Lei è il protagonista di The Forger, un thriller con spunti autobiografici...
«L’ho presentato a Toronto. È un film al quale tengo, in cui lotto per salvare mio figlio dal cancro diventando un falsario d’arte. Ho trovato nella storia il coraggio di risollevarsi, che è sempre necessario e ha contraddistinto la mia vita in diverse occasioni. Come quando ero in crisi e prendevo un aereo per guardare il mondo dall’alto».
I ricordi più vivi della sua carriera?
«Il successo è qualcosa che davvero ti può divorare: solo il tempo ti insegna a ridimensionarlo. Ogni volta che vado a un Festival mi ricordo di quello del debutto, a Deauville con La febbre del sabato sera . Era il 1977, tutti volevano ballare con me e, in seguito, le mie foto per un giro di danza con la Principessa Diana alla Casa Bianca fecero il giro del mondo».
Le capita di fare un bilancio?
«Dopo la morte di mio figlio, mia moglie Kelly Preston ed io ci siamo proiettati nel futuro. Siamo sposati da 23 anni, abbiamo molto desiderato il piccolo Benjamin nato un anno dopo la scomparsa di Jett. Adesso, non più giovane, mi capita di danzare solo con mia moglie. Però mia figlia Bella Bleu mi chiede sempre di invitarla a ballare anche se forse vorrebbe che lo facesse qualche suo coetaneo o l’attore Channing Tatum».
E poi c’è il gossip...
«Tanti attori si trovano nella condizione di doversi difendere da chi vuole denaro. Per anni sono stato oggetto di speculazioni, ho sempre evitato ogni commento perché si tratta dei cascami di una sottocultura pop, oggi enfatizzata da Internet».
Che cosa rende un attore un star?
«La carriera è solida – specialmente oggi che l’abuso dei media richiede sempre nuovi stimoli – se non ti fermi a un personaggio e rischi scegliendo ruoli adatti alle tue diverse età. Tarantino mi ha dato una nuova chance e io non ho mai il rimpianto di aver rifiutato American gigolo, Ufficiale e gentiluomo, Chicago» .
Quanto è cambiata Hollywood?
«I sogni non sono mutati, sono cambiati i modelli produttivi, le sinergie. Oggi valgono le serie e se si sbaglia un film (accade anche a registi di successo, penso a Brian De Palma), si fatica a trovare un produttore. Si girano meno storie, gli attori trovano spazio in televisione. Io vorrei, come James Cagney, fare il mio lavoro ancora per anni. In fondo, qualsiasi cosa succeda, sono incastrato nella storia del cinema anche vestito da donna, per la mia Edna Turnblad in Hairspray , per il mio Urban Cowboy, per tanti altri personaggi. Ora porterò sullo schermo il best seller dalle memorie di Abigail Thomas, A three dog life, la vera storia di una donna che ricostruisce la sua vita con l’aiuto di tre cani dopo che il marito ha avuto un trauma cranico e sto girando un western con Ethan Hawke, In a valley of violence».
Come si immagina nei prossimi anni?
«Forse i miei futuri nipotini mi prenderanno in giro per il ragazzo del sabato sera che sono stato. Spesso a Malibu incontro Dustin Hoffman. Ci diciamo che siamo due veterani professionisti della Hollywood di ieri, che sempre risorge».