il Fatto Quotidiano, 26 settembre 2014
Grembiulini sempre al potere. I più forti sono quelli occulti
Il protocollo d’ingaggio è a menù fisso: “Hai bisogno di parlare con Mario? Non c’è problema, è un fratello”. L’Alberto Sordi di turno, che impaurito e speranzoso si è rivolto al potente o presunto tale, eviterà di indagare la sfumatura. Mario Monicelli ce l’ha raccontato nel 1977, mentre la loggia P2 di Licio Gelli muoveva passi occulti a nostra insaputa. In Un borghese piccolo piccolo, Sordi, cattolicissimo impiegato statale (che tenerezza, erano ancora borghesi), entra in una loggia massonica per agevolare l’assunzione del figlio.
È ancora così. Quando il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli denuncia che il patto del Nazareno emana uno “stantio odore di massoneria” sbaglia solo l’aggettivo. Sgradevole, non stantio. Perché la massoneria è una fenice immortale giunta solo a metà dei 500 anni che il mito assegna alla sua prima vita. È fresca, innaffiata ogni giorno dai fiotti di vigliaccheria che il metabolismo italiano, disturbato dalla crisi, produce. Siamo circondati, ma la massoneria è proprio un’araba fenice. “Che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa”, aveva previsto Metastasio quasi 300 anni fa, e davvero ciascun lo dice, mica solo De Bortoli. Nel libro-intervista Confiteor Massimo Mucchetti chiede all’ex potente banchiere Cesare Geronzi: “E nella finanza ci sono molti fratelli?”. E quello, inconsapevolmente, copia la battuta di Walter Chiari chiamato a enumerare i sarchia-poni: “Pullulano”. Luigi Bisignani , giovanissimo iscritto alla P2 (ma a sua insaputa, a quanto gli risulta), non ha dubbi: “Seguendo per l’Ansa le forze armate, avevo capito perfettamente che, come mi ha ribadito tante volte Cossiga, l’influenza della massoneria tra i militari era per tradizione fortissima”.
Ed ecco l’andreottian - prodian - berlusconiano Lamberto Dini distillare la più celebre cattiveria di sempre (“In Banca d’Italia, i governatori che ho conosciuto – Menichella, Carli e Baffi – non erano certamente iscritti alla massoneria”), salvo poi precisare che solo una deprecabile dimenticanza aveva escluso Carlo Azeglio Ciampi dalla lista dei senza peccato. Mai fare i nomi, certo. Gianni Letta è massone? “Fantasie. Illusioni. Invidie”, scandisce Geronzi, salvo precisare che “chi fa il mestiere che ho fatto io riesce a spiegare tante cose soltanto come il risultato di solidarietà occulte e inconfessabili”.
Vedremo poi dove sbagliano i dietrologi, ma su una cosa hanno ragione. Siamo circondati, e non è sempre un male. La massoneria è un servizio diffuso, come la rete dei tabaccai, le parrocchie, le fermate dell’autobus. Entri in un ministero e ti bastano poche ore per sapere qual è il massone a cui proporre solidarietà inconfessabili.
Il decentramento della strizzata d’occhio è efficiente. Chiunque può illudersi di essere nel cerchio magico, protetto da amicizie bioniche. Ecco il presidente della banca vaticana Ior Ettore Gotti Tedeschi intercettato a tavola con l’amministratore delegato di Finmeccanica Giuseppe Orsi, la sera del 23 maggio 2012. Consiglia all’amico di mettersi nelle mani di Ignazio Moncada, apparentemente solo presidente della Fata, una delle decine di società controllate da Orsi, quasi un suo dipendente. Ma guai a fidarsi delle apparenze, avverte l’astuto Gotti, andiamo al sodo, cioè all’occulto: “Non semplificarlo come agente segreto della Cia, o un massoncello qualsiasi, è veramente un grandissimo burattinaio”. Burattinaio, come Gelli. Moncada, ex agente segreto, forte dell’amicizia di Giuliano Amato e Giulio Tremonti, è considerato l’anti-Bisignani. Il trio Gotti - Orsi - Moncada fa sfracelli. Il primo viene fatto fuori dallo Ior la mattina dopo, Orsi va in prigione senza passare dal via, poi arriva Mauro Moretti alla Finmeccanica e caccia Moncada senza nemmeno chiedergli di che loggia è. Strike.
È che la vigliaccheria non consente disciplina, ed è qui che sbagliano i dietrologi: la massoneria è un casino, una specie di Pd, una nebulosa di conventicole dove tutti sono l’un contro l’altro armati a contendersi poltrone a appalti per i rispettivi clientes. Loggia vince, loggia perde. Ci sono la massoneria di palazzo Giustiniani e quella di piazza del Gesù, la P2 dei reduci, la P3, la P4 e le altre informali: la loggia mafiosa, quella delle cliniche, quella dei palazzinari e quella della magistratura, ordinaria e amministrativa.
C’è anche un Grande Oriente Democratico, il cui gran maestro Gioele Magaldi rivela al giornalista di La7 Filippo Barone che sono tutti massoni, Mario Draghi e Ignazio Visco della Banca d’Italia, e Giorgio Napolitano e il presidente del Senato Piero Grasso, e vari pezzi grossi del ministero dell’Economia. Barone manda in onda, nessuno smentisce. E non perché massoni lo siano, ma perché in un gioco di specchi dove il tovagliolo del ristorante di lusso può valere più del grembiulino, tutti sono massoni e nessuno lo è.
E poi ci sono quelli in pectore, in sonno, all’orecchio, sotto osservazione, amici di, o semplici ammiratori senza tessera, come il rutellian-ambientalista Ermete Rea-lacci. E dunque l’eroe dei nostri tempi è Carlo Malinconico, sottosegretario del governo Monti dopo una vita al vertice della burocrazia statale, uno degli uomini più potenti d’Italia se si guarda al potere vero anziché alle presenze ai talk show, costretto alle dimissioni perché si faceva pagare le vacanze dal costruttore. Piagnucola: “Mai avuto gonnellini e grembiulini. E questo la dice lunga su quello che mi è successo”. Parafrasando Pietro Nenni, c’è sempre una loggia più loggia che ti sloggia. E così anche Malinconico, di nome e di fatto, dopo decenni di naso tappato ha sentito l’odore stantio.