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 2014  settembre 25 Giovedì calendario

Maxi-gasdotto in Siberia, si incrina l’asse Pechino-Mosca

Per il Cremlino si complica l’apertura del mercato energetico asiatico in alternativa a quello europeo. Pechino non sarebbe infatti intenzionata a fornire i capitali per la costruzione di un imponente gasdotto in Siberia necessario per gli approvvigionamenti alla Cina. La notizia è stata confermata da fonti della Gazprom, il colosso monopolista del gas russo, e rilanciata ieri dall’autorevole quotidiano finanziario Vedomosti.
«L’anticipo», come Mosca lo definisce, è pari a 25 miliardi di dollari, i quali, dopo un complesso calcolo, verrebbero scaricati dai futuri pagamenti degli approvvigionamenti della materia prima. Almeno così vari esperti interpretano i dettagli poco chiari di un contratto, concordato di corsa alle 4 del mattino a Shanghaj dopo un decennio di fallite trattative, stipulato al termine della visita ufficiale di Vladimir Putin in Cina nello scorso mese di maggio.
Il risultato è che la Gazprom dovrà ora mettere mano al portafoglio e spendere tutta l’astronomica cifra di 55 miliardi di dollari previsti per la realizzazione della condotta «Forza della Siberia» e per lo sfruttamento dei campi di Kovyktinsk e Chajandinskoe.

Il nodo del credito

Formalmente le sanzioni euro-americane non vietano alle banche occidentali di dare crediti alle società russe, ma in realtà il mercato finanziario internazionale ha stretto i cordoni della borsa verso Mosca. Recentemente una società affiliata alla Gazprom, la Novourengojskij, non è riuscita nemmeno ad ottenere 520 milioni di dollari. Figurarsi 25 miliardi.
Secondo gli esperti il rischio maggiore per quella che doveva essere la «pipeline del secolo», dell’amicizia russo-cinese, è che la spesa per la sua edificazione, da terminare entro il 2018-2020, sarà di molto più elevata. Il quotidiano Vedomosti ritiene che i costi superiori verranno scaricati sul budget federale oppure vi sarà un aumento del prezzo interno del gas.
La mossa cinese non è affatto inattesa: Pechino ha già altri fornitori (Birmania e Turkmenistan) ed il metano russo serve soltanto a diversificare i venditori. Da mesi «l’impero celeste» tenta di rimanere strategicamente al fianco di Mosca senza, però, irritare gli occidentali. Non è un caso, come riporta l’agenzia di stampa Itar-tass, che le banche commerciali cinesi abbiano iniziato a rifiutarsi di trasferire i soldi di clienti russi attraverso conti off-shore. Questi istituti, è stato spiegato, realizzano i loro maggiori profitti in operazioni con gli Stati Uniti ed hanno giustificato i loro rifiuti con una direttiva del ministero del Tesoro Usa.
Il risiko mondiale del gas non è, però, fermo. Fonti all’interno della Commissione europea hanno sostenuto ieri che l’Ue valuta la possibilità di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia con il gas iraniano. Anche qui manca una pipeline. Il precedente progetto Nabucco è stato scartato per mancanza di materia prima sufficiente dalla zona del Caspio. Se Teheran si riavvicinasse all’Occidente (la comune lotta contro l’Isis in Siria e Iraq la sta facilitando) la situazione cambierebbe.
Questo scenario penalizzerebbe però l’Italia, destinata a diventare uno strategico hub del gas in Europa. Finora soltanto il gasdotto South Stream con forte partecipazione dell’Eni ha la possibilità di diventare la principale condotta della magistrale sud europea.