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 2014  settembre 25 Giovedì calendario

Renzi primo licenziato

Un’opinione in una riga e mezza. «Devo essere sincero: Renzi non mi convince». Più chiaro di così Ferruccio de Bortoli non poteva essere. Per sintesi diciamo che ha battuto perfino il presidente del Consiglio, assai rapido con i suoi tweet. Certo, nel suo editoriale il direttore del Corriere della Sera  ha scritto anche altro, ma l’incipit è di quelli che non si dimenticano e certo non avrà fatto piacere al capo del governo. C’è chi ha pensato che l’articolo di fondo sia un distillato d’odio del numero uno di via Solferino ormai prossimo a mollare la poltrona: un calcio negli stinchi nei confronti di chi è, a torto o a ragione, ritenuto l’ispiratore del cambio di direzione del principale quotidiano italiano. Tuttavia, verosimilmente, l’addio alla poltrona che fu di Giovanni Spadolini ha poco a che fare con il contenuto del pezzo uscito ieri sulla prima pagina del Corriere . Certo, de Bortoli avrà scritto con maggior libertà sapendo di dover presto togliere il disturbo, evitando dunque di pesare le parole con il bilancino. E però quello che ha scritto è indubbiamente la sintesi di ciò che si respira intorno a certi salotti. Nulla di più, nulla dimeno.

Un anno fa, quando il sindaco di Firenze si candidò a diventare segretario del Pd molti ambienti imprenditoriali e bancari fecero all’ex Rottamatore un’apertura di credito, ritenendolo un sasso da lanciare nella palude italiana. Ricordate? A Palazzo Chigi c’era Enrico Letta, ossia il nuovo che indietreggia. Con lui alla guida del governo tutto pareva immobile. Ovviamente chiunque riconosceva le qualità del nipotissimo, giudicato anche dai critici una brava persona: ma nessuno era pronto a scommettere alcunché sul suo destino. Risultato? Le puntate si sono concentrate su Renzi, ossia sul giovanotto brillante che prometteva di cambiare tutto e di rompere gli equilibri. Da Marchionne a Della Valle, da Guerra a Farinetti, da De Benedetti a Bazoli sembrava che l’intero mondo imprenditoriale fosse disposto a investire su San Matteo. E così è stato, almeno per un certo periodo. I primi mesi sono stati di autentica adorazione. Avendo Renzi fatto della velocità una sua caratteristica, tutti furono sorpresi dalla dinamicità con cui il presidente del Consiglio annunciava provvedimenti. Diciamo che la luna di miele è durata almeno fino alle elezioni europee: un innamoramento suggellato dagli 80 euro in dono a dieci milioni di italiani. Poi, sarà stata l’estate piovosa, sarà stato il magro bilancio delle decisioni effettivamente varate e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale  (il nostro Franco Bechis ha documentato impietosamente i risultati conseguiti da Letta e quelli raggiunti da Renzi, dimostrando che il primo ha fatto più del secondo), sta di fatto che il vento è cambiato.

A dare il segnale è stato, come spesso accade, Diego Della Valle, il quale senza mezze parole se l’è presa con la riforma del Senato, liquidandola come un pasticcio messo a punto da un tipo che mangia il gelato al bar. Una delusione a cui si sono aggiunte presto quelle di altri, ad esempio dello stesso Marchionne, che pure è ritenuto molto vicino al premier e molto distante da Della Valle. Poi, nei giorni più recenti, sono piovute le critiche di Carlo De Benedetti, il quale non ha smentito di aver confidato a Eugenio Scalfari un giudizio impietoso: «Avevi ragione, Renzi non vale niente». Come se non bastasse, l’editore di Repubblica  l’altro ieri ha bocciato senza appello la riforma dell’articolo 18, definendola non indispensabile. Stessa opinione ribadita da Oscar Farinetti, uno che all’epoca della nascita del governo era stato addirittura indicato come possibile ministro dell’Agricoltura, del Turismo e di chissà quali altre cose. Sarà che gli imprenditori sono assai volubili, soprattutto quelli che hanno il portafoglio a destra e il cuore a sinistra, sarà che tra quelli elencati c’è chi ha motivo di risentimento per non aver visto soddisfatte certe aspettative (vedi alla voce Sorgenia, la società elettrica del gruppo che fa capo all’Ingegnere della Cir), stadi fatto che rispetto ai primi mesi dell’anno il clima pare mutato e per Renzi le cose sembrano mettersi male.

Chi ha favorito la sua ascesa, prima alla segreteria del Pd e poi a Palazzo Chigi, sembra avergli voltato le spalle e pare guardare già ad un altro premier. Qualcuno mormora di Ignazio Visco, altri di Mario Draghi (anche se conoscendo il governatore della Bce l’ipotesi appare poco credibile). Ma chi sia ha poca importanza, perché da Mario Monti in poi è a tutti chiaro che i presidenti del Consiglio non li decidono gli elettori, ma ci pensano i giornaloni, i banchieri, i grandi imprenditori. Quando fu fatto fuori Berlusconi, a sinistra ci fu chi applaudì, adesso che a rischiare di essere mandato a casa è Renzi c’è chi si allarma. Troppo tardi compagni. Altro che articolo 18, se non fa ciò che piace a chi detta legge, il primo ad essere licenziato sarà proprio Renzi.
Leggi qui l’editoriale di De Bortoli pubblicato ieri sul Corriere