Libero, 25 settembre 2014
Condannati cinque terroristi. Reclutavano jihadisti in Italia
Una cellula di terroristi islamici faceva base ad Andria, in Puglia, ed era pronta a colpire obiettivi in Italia e negli Stati Uniti. In cinque sono stati condannati con rito abbreviato dal gup del Tribunale di Bari, Antonio Diella, mentre per un sesto, latitante dall’aprile 2013, il processo partirà in corte d’assise soltanto nell’aprile 2015. A capo dell’organizzazione pugliese c’era l’imam tunisino della piccola moschea di Andria, Hosni Hachemi Ben Hassem, alias «Abu Haronnè» 47 anni, accusato anche di istigazione all’odio razziale. Condanne a 3 anni e 4 mesi di reclusione agli altri del gruppo che secondo l’accusa: «cooperavano nell’attività di proselitismo, di finanziamento, di procacciamento di documenti falsi, tenevano i contatti con altri membri dell’organizzazione, disponibili al trasferimento in zone di guerra per compiervi attività di terrorismo». Sono Faez Elkhaldey, detto «Mohsen», palestinese di 50 anni, Ifauoi Nour, detto «Moungì», tunisino di 35 anni, Khairredine Romdhane Ben Chedli, tunisino di 33 anni e Chamari Hamdi, 24enne nato in Sicilia. Ad Andria l’imam fino al 2010 ha fatto proselitismo non solo grazie al suo ruolo all’interno della moschea, ma anche come gestore di un call center.
SALAFITI
Poi si è trasferito in Belgio, dove è stato arrestato nell’aprile 2013. Stando alle carte dell’inchiesta barese, la cellula guidata dall’imam di Andria aveva soliti contatti con uomini del terrorismo islamico internazionale. Gente come Ben Yahia Mouldi Ber Rachid, Ben Alì Mohamed e Essid Sami Ben Khemais. Quest’ultimo, già condannato in Italia come affiliato a un’organizzazione terroristica, è stato il responsabile della sicurezza dello sceicco Abu Iyad, leader del gruppo salafita «Ansar Al Sharia», ricercato per l’attacco del 14 settembre 2012 all’ambasciata americana di Tunisi. Al telefono i membri della cellula parlavano chiaramente della loro idea di «guerra santa». Nei computer sequestrati dai carabinieri del Ros sono stati trovati documenti che inneggiano alla jihad, fotografie e filmati. Immagini che ritraggono lo stesso Hosni Hachemi mentre impugnava due kalashnikov affiancato da due miliziani, in una località non precisata in nordafrica. Mentre in Puglia l’imam faceva proselitismo incitando all’odio contro l’Occidente, alle pendici dell’Etna era attivo un vero e proprio campo di addestramento militare, dove veniva insegnato a fabbricare esplosivo e a maneggiare armi. Gli obiettivi dei terroristi non erano ancora stati definiti, ma ce n’erano di «auspicati», come nel caso di una chiesa di Andria. In una intercettazione telefonica alcuni componenti del gruppo terroristico si sono anche scambiati esultanze e risate quando nel 2009 hanno saputo del terremoto in Abruzzo, con la conseguente distruzione anche di chiese cattoliche.
CARBON CREDIT
Già dalle carte dell’inchiesta barese antiterrorismo è stato chiaro che cellule come quella di Andria non esisterebbero senza un sostegno economico più ampio, legato a organizzazioni finanziarie complesse. Sistemi basati ad esempio sull’evasione dell’Iva in transazioni di titoli «carbon credit», certificati ambientali venduti da quelle società che producono meno gas-serra rispetto al tetto stabilito dagli accordi di Kyoto. Come ha riportato il Corriere della Sera, la procura di Milano ha da poco concluso un’indagine su due organizzazioni che dall’Italia acquistavano titoli in Gran Bretagna, Olanda, Francia e Germania. Vere e proprie cartiere che producevano solo fatture e che erano intestate o a prestanome quasi sempre cinesi o a persone estranee ma vittime di furti d’identità. Dopo aver acquistato senza pagare l’Iva, esclusa in questo tipo di transazioni intracomunitarie, le cartiere aggiungevano l’Iva al 20 per cento e vendevano i certificati ad altre società, anche queste fittizie, che facevano da intermediari con gli ignari acquirenti finali. Una volta incassata, invece di versare l’Iva allo Stato italiano la «cartiera» chiudeva i battenti e spariva nel nulla, mentre i soldi, milioni e milioni di euro, svanivano su conti a Hong Kong o negli Emirati Arabi Uniti.