Corriere della Sera, 23 settembre 2014
Alta tensione tra renziani e sinistra. Ma i dissidenti faticano a unirsi
«I renziani? Attaccano perché sono preoccupati, hanno paura che passi il referendum... È previsto dallo statuto, possiamo farlo e possiamo anche vincerlo». Stefano Fassina ha indossato l’elmetto e non intende uscire dalla trincea dei «duri», sui quali ieri si è scatenata la controffensiva del Nazareno. Un attacco che sembra aver indebolito la «resistenza» bersaniana dei riformisti-senza-elmetto.
Uno dopo l’altro, i colonnelli renziani hanno sparato metaforiche pallottole sull’opposizione interna e il resto lo ha fatto il severo monito del capo dello Stato. Tanto che Cesare Damiano vede sfumare il sogno di appellarsi alla base: «La possibilità reale di un referendum interno la vedo abbastanza remota». Non è una resa, però. Lo stesso presidente della commissione Lavoro della Camera lancia infatti a Renzi un brusco avvertimento: «Sulle questioni economiche dovrebbe essere rifiutato il soccorso azzurro. Se fossero determinanti i voti di Forza Italia per tenere in piedi il governo ci sarebbe una conseguenza politica...».
Prima di volare negli Usa il premier ha chiesto ai suoi di picchiare duro sull’ala sinistra, che contesta il cuore della riforma del lavoro. E così dal Nazareno (come da Palazzo Chigi) sono partiti i razzi. Lorenzo Lotti, per chiarire la determinazione del leader, ha preso di mira Alfredo D’Attorre: «Chi ha perso le primarie non detta la linea. No ai retaggi ideologici». E il deputato bersaniano: «Argomento fuori luogo, non mi pare che Renzi alle primarie abbia proposto l’abolizione dell’articolo 18». A sera in soccorso del collega è arrivata la replica di Fassina a Lotti: «Con gli insulti e le caricature non facciamo passi avanti. Il principio democratico con cui il Pd procede è davvero singolare. Il capo decide, il Senato approva e poi facciamo la direzione per discutere».
Toni che oscurano il lavoro dei mediatori, intenti a cercare un accordo da portare lunedì 29 al «parlamentino» del Pd, dove la riforma sarà messa ai voti. I renziani fanno la voce grossa, mostrando di non temere una conta dolorosa. «Ci sono tutte le condizioni per arrivare a un punto di equilibrio – spera Debora Serracchiani – La scissione? Ipotesi fantascientifica». Il clima però è pessimo. «Le minacce di non rispettare le indicazioni di voto non aiutano – avverte Lorenzo Guerini, rivolto a Bersani – In un partito si discute, poi si decide e quella decisione impegna tutti». Come ci si arriva? Con sanzioni ed espulsioni? «Sono convinto che ci si arriverà non per via disciplinare, ma attraverso il dibattito».
Se Guerini media, Rosy Bindi attacca. Per la presidente dell’Antimafia il premier «ama rilanciare per impedire che si facciano i bilanci» e l’idea di una rottura insanabile non è affatto lunare: «Una scissione? Sicuramente no, se non la provoca chi continua a richiamare all’obbedienza...». Dove quel qualcuno, per la Bindi, è ovviamente Renzi: «Se lui sbaglia le alternative ci sono, basta costruirle».
Pippo Civati avverte il segretario: «Rischia di compromettere definitivamente i rapporti con la minoranza», che per lui non sono pochi giapponesi, ma un’area molto più larga: «Se cinque democratici non votano il decreto si va in commissione di garanzia, se non lo votano in cento si va dal presidente della Repubblica». Tifa per la caduta del governo? «No, dico che a qualcuno piace giocare pesante... La legge di stabilità dovrà prendere decisioni difficili, se il clima è questo auguri!». Per Civati, che nutre «dubbi di costituzionalità», il referendum non è affatto uscito dai radar. Serve il 5 per cento degli iscritti e lui è sicuro di averlo in tasca: «Se i renziani sono così convinti della loro forza, perché non convocano il popolo del Pd?».
Lo scontro si sposta a Palazzo Madama, dove tutte le correnti di minoranza del Pd stanno cercando di riunire le forze in un fronte unico. I capibastone, da Cuperlo alla Bindi, fanno pressing su Roberto Speranza (che stasera riunirà i suoi cento parlamentari) perché accetti di dare battaglia insieme a loro. Nella riunione di Area Riformista Fassina e D’Attorre si faranno sentire, ma la gran parte della corrente non sembra disposta a seguirli sul terreno di quel referendum interno la cui sola ipotesi ha fatto infuriare il Nazareno. «Se proprio volete un referendum facciamolo con gli elettori – minaccia il renziano Giachetti – Mattarellum e al voto. #cestate?». Sempre via Twitter era arrivata la provocazione di Fassina: «Sacconi e Forza Italia cheerleaders del Jobs Act. Sono diventati di sinistra o il Pd segue la destra?».