la Repubblica, 16 settembre 2014
La vera età della vecchiaia
[Articolo pubblicato sulla Stampa il 4 settembre 2014].
Sono stati la meglio gioventù, e sono decisi a restarlo. Preparati a vivere (almeno) fino agli ottant’anni, e decisi a non mollare, i vecchi italiani (che presto sarà vietato chiamare tali) non mollano nulla: né la carriera, dove sono disponibili tutt’al più a fare un po’ di spazio per i propri figli – ma solo per loro – né l’amore, né i viaggi, lo sport, l’avventura. La soglia si sposta sempre più in là, e cancella il rapporto tra percezione di sé, equilibrio sociale e scienza medica: amministratore delegato a 75 anni, presidente a 80, perché rinunciare allo sci, al matrimonio, ai viaggi all’estero o addirittura a una seconda o terza vita in un altro paese?
Attilio Morgagni, classe 1935, di Novara, professore in pensione, racconta: «Al mattino presto esco col mio cane, che è abituato a seguirmi anche in bici o in acqua. Secondo le stagioni e l’umore, possiamo fare tra i 5 e i 20 chilometri. Poi rientriamo e io correggo i compiti: ci sono ancora tanti ragazzi che hanno bisogno di me. All’una, vado a prendere la figlia di mia nipote che ha quasi cinque anni e se ne abbiamo voglia mangiamo la pizza vicino a scuola: mi chiamano nonno, in realtà sono il bisnonno, ma non stiamo a sottilizzare. Poi torniamo a casa e ci facciamo un bel riposino, cane
compreso. Il pomeriggio mi alleno in casa, oppure leggo, oppure ancora, martedì e giovedì, vado a aprire la sede del mio sindacato. Ma la sera non ce n’è per nessuno. Mia moglie torna a casa e io cucino per lei». Da Marina di Pietrasanta, in Toscana, la signora Elide Biagi aggiunge: «Ho 76 anni e una barchetta, un piccolo gozzo. Quando il mare è buono, mi piace uscire da sola, e in certe stagioni anche pescare e cucinare quel che ho pescato. L’unico problema è il sole, non lo sopporto più. Quest’estate è andata bene». Negli Stati Uniti, i baby boomers sono oltre 70 milioni: sessantenni, settantenni e oltre che chiedono con orgoglio: “Chi lo dice quando sono troppo vecchio?”. Domanda sacrosanta, se è vero come è vero che molti di loro hanno accettato la sfida, e a quarant’anni di distanza si sono seduti nelle aule della Columbia University per riprendere gli studi da dove li avevano lasciati. Ma il fenomeno è globale: «Non è mai successo prima – spiega Alessandro Rosina, demografo e docente e docente alla Cattolica di Milano – Questa generazione sa di non assomigliare ai propri nonni, che stavano molto peggio in salute. E non se ne vuole andare. E sa perfino spiegarlo: “io ho dovuto sgomitare per farmi avanti quando ero giovane, fatelo anche voi…”». Forse è beffardo, ma
così, l’hashtag giovanile che impazza su twitter e su Instagram, #nonsimollaniente, è diventato lo slogan di chi ha i capelli bianchi. Maurizio Fabris, 79 anni, è un medico milanese: «Nel mio mestiere, non si va mai in pensione, a meno che non ti tremi la mano. Faccio il ginecologo, ho una clientela affezionata di madri e figlie, perché dovrei lasciare?».
Un target, questo, che gode di un mercato tutto per sé, dai capelli bianchi, appunto – che ora vanno solo corti, lucenti, e finalmente hanno una propria di prodotti e di passerelle e modelle ad hoc, nonché della raccomandazione stilistica ormai condivisa di evitare rosso e biondo dopo i 70 – ai cibi super-proteici pensati per chi vede rallentare il suo metabolismo. Per i 12 milioni di over 65 in Italia ci sono pani e yogurt speciali, sapori più accentuati e piatti pronti pensati per chi vive solo e non vuole o non sa cucinare. Ma l’età può trasformarsi anche in un privilegio, se è vero che un uomo, o più raramente una donna, che a casa sono perfettamente autonomi chiedano e ottengano in aeroporto un mezzo motorizzato per spostarsi (+ 30 per cento dal 2010 a oggi nei primi 10 hub del mondo). Molti bambini ormai conoscono tutti e quattro i nonni, cosa rarissima negli anni Sessanta in Italia, e magari vantano anche un bisnonno o due. «Nella fascia di età tra i 40 e i 60 sono decine di migliaia gli sportivi che non vogliono solo partecipare ma competere – spiega Bernardino Chiavola, direttore operativo dei World Masters Games, che l’anno scorso a Torino hanno trascinato 20.000 atleti “adulti” da tutto il mondo, e li hanno fatti gareggiare secondo classi di età di cinque anni in cinque anni, fino ai 90 e oltre – Si tratta perlopiù di persone che possono spendere, che si spostano nel mondo per questa ragione e che si allenano più volte a settimana».
E se si lavora, si comanda, si spende e si fa sport e si mangia in modo nuovo, perché non innamorarsi? Film e romanzi hanno sdoganato la vita sessuale over 70 — uno per tutti: la pellicola tedesca Wolke Neun, storia di un triangolo amoroso tra la sarta, il marito e l’amante, definito “oltraggioso e magnifico” dai critici. Liberati dai doveri familiari, forti di un sano egoismo, i “nuovi giovani” italiani viaggiano o si trasformano in “nonni rondine”, trasferendosi per sempre o per sei mesi l’anno in paesi più caldi e vantaggiosi.
Racconta Liviana Spositi, di Lecce: «A 61 anni sono rimasta vedova, un anno dopo sono andata in pensione. Ero triste, mia figlia vive in un’altra città. Un’amica mi ha proposto di dividere casa a Tenerife (Canarie, ndr) e ho detto subito sì. Ci ho messo 15.000 euro, i risparmi di una vita, e adesso cuciniamo per il bar di sotto che offre aperitivi e tapas ai pensionati che sbarcano tutto l’anno. E guadagniamo anche qualcosa». Il 47 per cento degli over-60 ha fatto almeno una vacanza nel 2014, il 65 per cento è andato al mare, il 34 per cento lo sta facendo ora, quando l’acqua è più calda e le spiagge meno affollate, mentre Francia, Grecia e Spagna sono le mete preferite per chi va all’estero. Ma la pensione può seguirti ovunque, come dimostra quell’avanguardia di 3 milioni di francesi, un milione di italiani, che silenziosamente se l’è svignata in Portogallo, a Santo Domingo o in qualunque altro posto proponesse un regime fiscale favorevole e una decente assistenza sanitaria. «La maggior parte di questa generazione – avverte però Alessandro Rosina – non vuole affatto scappare, ma restare e combattere. Questi uomini e queste donne si sono rispecchiati nelle facce dei nonni quando erano bambini, e sanno di essere meglio. Perché dovrebbero farsi da parte?». «Oggi i farmaci e le ricerche possono aiutare molto, soprattutto le donne – dice la sessuologa Alessandra Graziottin – Dopo la menopausa, esistono terapie consolidate che certo non danno l’immortalità, ma consentono di vivere molto meglio». E per fortuna, visto che soprattutto le donne hanno davanti a sé fino a quarant’anni da vivere, durante i quali comandare, amare e correre ma senza più fare figli.
L’intervista
«Sì, tra i medici si discute, e qualche volta si litiga, sulla necessità di spostare dai 65 ai 70 anni la soglia convenzionale indicata per l’inizio della vecchiaia».
Giancarlo Isaia, direttore della struttura ospedaliera che alle Molinette di Torino segue i pazienti “anziani”, ammette volentieri che quel confine, quello che convenzionalmente si usa in tutto il mondo per indicare la “terza età”, non ha più senso di esistere.
Come è nata quella divisione?
«Non c’è stato un momento preciso, è arrivata insieme alla nostra disciplina, la geriatria, dunque negli anni Cinquanta e Sessanta. Da lì in poi, sono stati inventati moltissimi sinonimi, come “diversamente giovani”».
Tutto è cambiato, perché non questa soglia di età, che ormai appare quasi imbarazzante nelle statistiche?
«Ce lo chiediamo a ogni congresso medico, ormai se ne discute continuamente. Ma il problema è che se questa misura convenzionale fosse cancellata o modificata questo potrebbe avere pesanti ripercussioni anche sul welfare dei singoli paesi, soprattutto in Europa. Il timore non dichiarato è quello di influenzare le politiche pensionistiche… Per questo non si è ancora cambiato».
Intanto però la sanità pubblica si è trasformata. In che modo?
«Noi geriatri seguiamo, in modo specialistico, tutti i pazienti over 65 che lamentano patologie croniche o tipiche dell’età: osteoporosi, demenza, colesterolo troppo alto, insufficienze circolatorie o renali e epatiche. Ci accontentiamo che la loro salute non peggiori… ».
…e non li spingete a giocare a golf?
«No, anche se spesso ce lo chiedono. Sono ben contento quando un paziente va in bicicletta o sulle piste da sci. Ma per me va già bene che possa camminare e decidere da solo sul suo conto in banca. Il confine è l’autosufficienza. Per noi l’autosufficienza motoria e quella cognitiva bastano a testimoniare che quel paziente sta bene. Il resto è compito del medico di base».
La sanità pubblica italiana è cambiata insieme alla speranza di vita. Anche i farmaci si sono evoluti allo stesso modo?
«In realtà no. La maggior parte dei medicinali che usiamo per curare gli anziani sono destinati a patologie croniche, questo significa che per sperimentarli e ottenere risultati certi occorrono come minimo tre anni, e spesso anche cinque o dieci. Ne deriva che le case farmaceutiche li provano su classi di età comprese tra i 50 e i 70 anni, perché altrimenti il loro campione registrerebbe una mortalità troppo alta. Ma se poi io prescrivo quel farmaco a un paziente di 80 o 90 anni non sono sicuro di come funzionerà».
L’aumento dell’età e delle malattie riguarda nello stesso modo uomini e donne?
«Sì. Le donne avevano e hanno un vantaggio biologico maggiore, perché vivono più a lungo, ma è anche vero che il loro ciclo biologico è cambiato. Ormai hanno di fronte a sé trentacinque o perfino quarant’anni di vita al di là della propria età fertile. Con l’effetto secondario che le patologie da carenza di estrogeni aumentano, come l’osteoporosi, e devono essere diagnosticate e curate nel modo migliore ».