il Fatto Quotidiano, 16 settembre 2014
Il calcio di Pellè, il signor nessuno
Proviamo a cambiare punto di vista. Ogni fine settimana circa un milione e mezzo di ragazzi (e ragazze) italiani scendono in campo nelle varie categorie, dalla Serie D in giù: dilettanti, calcio femminile, giovani e giovanissimi in età poco più che da asilo. È lo sconfinato territorio di tesserati cui da molti anni presiede con competenza quello stesso Carlo Tavecchio delle stragaffes oggi stritolato dalle imitazioni (però con Conte ci ha preso, e Lotito “lotitorum” tra uno sberleffo e l’altro ha ricominciato a riempire di laziali l’Olimpico e a sembrare meno un’assonanza clinica auricolare). Questo milione e mezzo, accompagnato da genitori, parenti e amici compone una porzione di Italia consistente.
Per giocare fanno di tutto, specie nelle categorie iniziali, allenandosi quando possono e sacrificando molto altro del resto esistenziale che gli compete. Naturalmente hanno i loro idoli da emulare, e per farlo se potessero si allenerebbero credo tutta la giornata e disputerebbero una partita al giorno. È il calcio da strada di una volta trasferitosi nei campi, ormai frequentemente in sintetico. Il clima troppo spesso non è quello sano che dovrebbe riassumersi nel vocabolo “gioco”, ma questo lo sappiamo tutti benissimo e dovrebbe essere “la” questione per la politica, la politica sportiva e il Coni che la amministra. E non lo è, invece, nell’incultura dominante e non recessiva. Questa premessa è per capire se c’è qualcuno in circolazione più simile al menzionato milione e mezzo degli attori abituali del nostro palcoscenico.
Perché già, che da ier l’altro faccia sognare il colpo di tacco di Jeremy Menez è cosa stranota, specie nel contesto di una partita da Luna Park come Parma-Milan, sagra di prodezze, errori da vaudeville e scemenze arbitrali, oppure che ci si riconosca nella faticosa carriera italiana dell’ex giovane romanista Stefano Okaka, fino all’altro ieri da buttar via e oggi giocatore vero, sotto gli occhi fulminati e fulminanti di “Vi-peretta” Ferrero, l’omologo doriano di De Laurentiis.
E poi ci sarebbero i pupilli di Moratti, Icardi e Kovacic, per fare grande un’Inter tutta da scoprire, eccetera eccetera. Invece punto il compasso sulla Premier League, e vado a casa del Southampton, i cosiddetti “saints” per i quali tifa e viaggia un nugolo di leghisti loro supporters tutte le volte che possono, partenza da Malpensa (curioso, nevvero?). Chi gioca centravanti nella squadra allenata da Koeman, l’olandese dal tiro al fulmicotone (qui svaligio il formulario più trito del “calcese”)? Un italiano, già ventinovenne, che furoreggia a suon di gol ed è emigrato (fuga di teste se la zuccata è uno dei pezzi forti del suo repertorio) sette anni fa con fuggevoli e sfortunati ritorni da noi. In Italia Graziano Pellé, una stanga da 1,93 nato vicino a Lecce, è una specie di grezzo Nessuno, in Olanda e adesso anche in Inghilterra è poco meno di un fenomeno.
Qui ci sta tutto il discorso sul perché ci facciamo scappare giocatori che poi fanno così bene all’estero, e bizzarramente Pellé è uno di quelli che battono sul fatto che fuori campo negli altri Paesi si è indenni dal parossismo tifoideo mentre in campo si suda molto di più e si gioca molto più spesso. Banale, vero? Meno psicosi, meno supplenza sociale, più allenamenti o più intensi, e più partite.
Non sembra la versione nobile di ciò che in realtà vorrebbero quel milione e mezzo di cui parlavo all’inizio? Qualcosa che è da copertina, certamente, e Pellé se ne sta guadagnando parecchie, ma per quello che fanno davvero, non per la recita che è spesso il calcio nostrano. Che appunto non regge né allenamenti né partite troppo ravvicinate. Perché ? Perché Milan e Lazio sono candidati a fare un campionato d’avanguardia malgrado le lacune di entrambi, tra il tacco alla francese e l’energia da boscaiolo di Candreva, soprattutto perché non giocano in Europa a metà settimana?
Perché le sorti del campionato, partito con la coppia Juve-Roma dell’anno scorso più l’entusiasmo contagioso di Inzaghi che è un po’ il Montella alla Fiorentina di due anni fa, si decideranno solo quando peserà la concomitanza di scudetto e Champions? Perché, insomma, la voglia e la disposizione d’animo di quel milione e mezzo non si traduce in un calcio di vertice nazionale migliore, più intenso, meno chiacchierato e più faticato? Perché questa nostra Rotondolatria altro non è che una delle facce del Paese, così forte agli orali e deboluccio negli scritti in ogni sua manifestazione. Dunque è logico che si sogni per Menez e si storca il naso per Pellé, è tutto in regola, e si è già pronti a rosolare Benitez, “semplicemente” partito male, oppure la vittima sacrificale del giocare per giocare, cioè la “coscienza di Zeman” versione sarda, senza arrivare ancora a mettere in discussione Montella che ha una Fiorentina con quattro freni a mano tirati. Ci facciamo piacere un calcio così, e auspichiamo cento di questi Parma-Milan per far sognare, oltre che segnare. Io, per quello che vale, mi tengo Pellé...