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 2014  settembre 16 Martedì calendario

«Coalizione monca. Senza i soldati a terra non vinceremo mai»

Il generale Jay Garner non è ottimista: «Troppi interessi contrastanti fra gli arabi sunniti, e senza l’Iran sarà dura. In Iraq possiamo annientare l’Isis, ma in Siria è molto più difficile, senza mandare soldati americani sul terreno. Se poi ci riuscissimo, dovremmo cominciare già da ora a preparare una grande forza di intervento con gli europei per tenere in piedi il Paese».
Lei è stato il primo governatore dell’Iraq, dopo la caduta di Saddam nel 2003, ed era anche uno dei comandanti della Guerra del Golfo nel 1991. Vede similitudini fra la coalizione che costrinse Saddam a ritirarsi dal Kuwait, e quella che il presidente Obama sta creando per «degradare e distruggere» l’Isis?
«Sono situazioni molto diverse. Nel 1990 Saddam aveva violato l’integrità territoriale del Kuwait, e gli altri Paesi arabi erano uniti nella volontà di respingerlo indietro».
Cosa li divide, adesso?
«Questa è una guerra civile, settaria, con troppi interessi divergenti».
Ce li spieghi.
«Il primo passo sarebbe quello di avere il sostegno di tutti i Paesi sunniti, perché l’Isis minaccia l’Arabia e la Giordania più degli Usa. La monarchia saudita però è prudente perché non vuole dare l’impressione di partecipare a una guerra fra sunniti».
La Turchia ha detto no perché teme l’indipendenza curda?
«In realtà Ankara ha dichiarato che appoggia l’autonomia curda in Iraq, e i rapporti economici fra Turchia e Kurdistan sono ottimi. Certo Erdogan non vuole rischiare che la sconfitta dell’Isis si trasformi nella creazione di uno stato curdo nei suoi confini, ma credo che sia condizionato soprattutto dai cinquanta diplomatici di Ankara ostaggi dei terroristi».
Perché è impossibile vincere senza l’Iran?
«Controlla l’Iraq, e in parte anche la Siria. Gli Usa non possono stringere un’alleanza formale con Teheran, ma se dietro le quinte gli ayatollah non si prendono le loro responsabilità, non potremo sconfiggere l’Isis».
Non hanno comunque interesse a farlo?
«In Iraq sì, per difendere il governo sciita, ma in Siria temono che la lotta contro l’Isis provochi anche la caduta di Assad, che loro hanno sostenuto, e magari problemi per Hezbollah».
La coalizione quindi non ha speranze?
«È una coalizione? Chi è il comandante? Quali sono le strutture che la gestiscono? In realtà sono dei Paesi che hanno dato in ordine sparso la loro adesione, ma senza un coordinamento strategico e misure concrete. Chi manderà i soldati a terra?».
In queste condizioni, è possibile sconfiggere l’Isis?
«In Iraq sì, perché a terra ci sono i peshmerga curdi e ciò che resta dell’esercito iracheno. Se noi passiamo dai raid a una vera campagna aerea per sostenere la loro offensiva, possono riprendere il territorio perso. In Siria è molto più difficile, perché a terra ci sono Assad, Hezbollah e le milizie sciite con cui non collaboriamo, e l’opposizione moderata che è molto debole. L’unica opzione praticabile richiede l’invio a terra delle forze speciali americane, e la costruzione di una vera grande coalizione con arabi ed europei, per creare da subito la forza internazionale che dovrà controllare il territorio dopo la distruzione dell’Isis».
Gli analisti democratici dicono che la colpa originaria è vostra.
«Visto com’è andata, non avremmo dovuto invadere, perché l’Iraq che abbiamo costruito è alleato dell’Iran, non degli Usa. Poi sbagliammo a smantellare l’esercito: una sera andammo a letto, e la mattina ci svegliammo con 400.000 nemici in più, armati. Quelle però furono decisioni che non presi io».