Corriere della Sera, 16 settembre 2014
Scherzare con il fuoco
In ogni sistema costituzionale c’è un principio non scritto, che tuttavia pesa ben più di ogni regola scritta. Questo: le istituzioni funzionano se collaborano, se si rispettano vicendevolmente, se prestano soccorso l’una all’altra. L’esatto contrario di quanto sta facendo il Parlamento. Tanto più quando a subirne il danno sono gli unici due organi di garanzia giuridica della Costituzione, dei suoi equilibri, del crocevia fra politica e giustizia. Tanto più quando dal ventre delle Camere non risuona una critica (legittima, anche se spesso esacerbata) a un pronunciamento del Consiglio superiore della magistratura (Csm) o a una pronuncia della Corte costituzionale, bensì un attentato alla loro integrità, un ostacolo al loro buon funzionamento.
Diciamolo: è uno spettacolo indecente. Perché l’elezione di due giudici della Consulta e di altrettanti membri laici del Csm è un atto dovuto, non una graziosa concessione del sovrano. Perché questo dovere è stato rammentato al Parlamento dall’ex presidente Silvestri, dal suo successore Tesauro, e ripetutamente da Napolitano. Perché il Parlamento, viceversa, ha fatto correre fin qui dieci votazioni, senza mai chiudere la pratica. E perché nel frattempo la Consulta opera a ranghi ridotti, il Csm è in prorogatio da due mesi.
Non che sia la prima volta. Nella storia repubblicana si contano sette precedenti in cui le funzioni del Consiglio superiore della magistratura vennero protratte oltre la scadenza naturale, dal momento che i partiti non riuscivano a mettersi d’accordo sui nomi. Quanto al tribunale costituzionale, i precedenti sono innumerevoli. Il caso più eclatante: 14 fumate nere, 18 mesi andati in fumo. Il 21 novembre 2000 uscirono dalla Consulta i giudici Guizzi e Mirabelli; i loro sostituti furono eletti il 24 aprile 2002, dopo che il presidente Ciampi minacciò un’iradiddio. Ma in generale l’elezione tardiva dei giudici costituzionali rappresenta la regola, non l’eccezione. E questa regola si nutre di una sostanza opaca, dove il non detto prevale su quel poco che ci viene raccontato, dove la stessa designazione dei candidati si consuma in segreto, mentre il segreto dell’urna regolarmente li travolge.
Sì, è sempre la politica che arma l’antipolitica. Ed è l’istituzione che incarna il baricentro della democrazia ad alimentarne poi il discredito. Saremmo tentati di togliere questa competenza al Parlamento, per salvarlo da se stesso. Tuttavia nessuno può salvarlo, se non regge l’accordo fra i partiti, se va in scena la ribellione dei peones, se i colonnelli tramano contro i generali. Renzi farebbe bene a non sottovalutare la vicenda: il patto del Nazareno è la sua assicurazione sulla vita, ma il patto scricchiola, e a questo punto scricchiola pure la vita del governo. E la vita delle Camere? Nei manuali di diritto la paralisi delle assemblee parlamentari, l’incapacità di assolvere ai propri adempimenti costituzionali, descrive un presupposto tipico per il loro scioglimento anticipato. Non accadrà, ne siamo (quasi) certi. Però delle due l’una: o la giostra riparte, o alla fine della giostra verranno disarcionati tutti i cavalieri.