la Repubblica, 15 settembre 2014
Sono davvero necessari 148 mila nuovi docenti?
Ci terremo all’indicazione di Renzi e ci guarderemo bene dal definire “Riforma” le misure di riorganizzazione della scuola italiana. In verità i tagli, comunque camuffati, non potevano fregiarsi dell’appellativo di riforme. Queste, peraltro, erano e sono più che necessarie. Non sarebbe stato meglio, però, prima disegnare la scuola del futuro definire le risorse per realizzarla? Un impiego alla cieca di queste per un generico, e difficilmente attuabile, “ampliamento dell’offerta formativa”, ripropone in realtà il tema di una scuola fatta più per gli insegnanti che per gli studenti.
Nel testo governativo si parla molto del sullodato ampliamento, ma senza tenere il minimo conto dell’assenza delle strutture indispensabili anche per il funzionamento normale. Nelle cinque o sei ore aggiuntive del mattino, dedicate a questa espansione dell’offerta cosa dovranno fare gli insegnanti aggiuntivi? Quali materie approfondire? Si dovranno aprire le scuole il pomeriggio? Ma i nostri innovatori (e non “riformatori”) sono a conoscenza che nelle scuole secondarie superiori non ci sono mense? E che gli orari delle scuole sono concordate con i servizi di trasporto, poiché quasi tutti i ragazzi sono pendolari?
Una delle altre novità del testo è che d’ora in poi gli insegnanti abilitati in una materia potranno insegnare anche materie affini. Evidentemente i nostri governanti non sanno che questa è appunto una delle debolezze maggiori della nostra scuola, dove abbiamo laureati in farmacia che spiegano matematica, insegnanti di sociologia docenti in inglese, e così via. Altro che se ci sarebbe bisogno di una riforma! Comunque è venuto a puntino il documento dell’OCSE sull’Istruzione in Italia che permette di verificare in modo comparato la situazione. Ci sono dati positivi come il numero raddoppiato in 10 anni dei laureati, il tasso di scolarità e le competenze dei venticinquenni che confrontate con i precedenti dati italiani mostrano un deciso miglioramento.
Quando però ci confrontiamo con le medie dei paesi OCSE e con altri paesi scopriamo che il punteggio medio in matematica di un laureato italiano (289 punti) è addirittura più basso di quello di un diplomato finlandese (292), danese o giapponese. Il tasso dei laureati, pur raddoppiato, colloca il nostro paese al 34esimo posto su 37 paesi esaminati. La scuola e l’Università non sono più visti come un’occasione per migliorare la propria posizione sociale, ma come scrive acutamente l’OCSE, sono parte del problema. Si spende in media come gli altri paesi per l’istruzione nella scuola primaria, molto meno nell’Università e nelle scuole superiori. Come sappiamo oltre l’80% della spesa è assorbita dagli stipendi degli insegnanti. Messa così si dovrebbe pensare che abbia ragione Renzi quando dice che mancano docenti (soprattutto nelle superiori). Se aumentassimo la spesa ai livelli dell’OCSE dovremmo avere più insegnanti nelle scuole secondarie superiori ad esempio. Invece il Rapporto ci dice che sono troppi: nelle scuole primarie il rapporto tra alunni e maestri è di 12 in Italia contro i 14 della media OCSE, nelle medie di 12 contro i 15 (OCSE) e nelle superiori di 12 contro 13. Quindi a parità di studenti noi abbiamo in Italia molti più insegnanti.
Desta quindi un po’ di meraviglia che per cambiare la scuola il primo tema sembra essere quello di assumere altri 148.000 docenti. Il tema che si evince anche dai dati dell’OCSE è quello della qualità. Un sistema ingessato come la scuola italiana con una autonomia limitata, senza un sistema di valutazione né delle istituzioni scolastiche né degli insegnanti, non ha gli strumenti per avviare un processo di miglioramento. La vera opportunità che offre il documento del governo riguarda il decollo di un sistema di valutazione che avvii anche per i professori una carriera basata sul merito ed una retribuzione incrementata non solo sulle ore aggiuntive, sugli incentivi legati a progetti e progettini.
L’idea dell’organico funzionale e quindi di una dotazione di docenti non corrispondente alle sole cattedre, non è un tema nuovo ma deve essere collegato allo sviluppo completo dell’autonomia della scuola, della responsabilizzazione. Non può essere solo un modo per ridurre le supplenze che oltretutto sarebbe largamente insufficiente. L’organico funzionale sviluppa le sue potenzialità solo in una scuola con larga autonomia, che può organizzare le attività, la composizione delle classi ed il lavoro degli insegnanti. In una scuola ingessata quando non c’è da fare supplenze cosa faranno questi neo assunti durante il normale orario delle lezioni? Per aprire le scuole al pomeriggio e riorganizzare le attività non basta un aumento dell’organico ma occorre completare il percorso dell’autonomia. E lo sviluppo dell’autonomia comporta inevitabilmente la valutazione. È questo il punto di partenza della indispensabile riforma.