Corriere della Sera, 15 settembre 2014
E ora Renzi faccia i nomi
È giunta l’ora, mi sembra, che Matteo Renzi compia un gesto che in Italia è sempre rivoluzionario: e cioè faccia nomi e cognomi. Solo una tale novità, infatti, può rappresentare quel salto di qualità nella comunicazione del premier con il Paese che la gravità della crisi e l’urgenza dei suoi possibili rimedi richiedono.
Non è più possibile e non ha più senso continuare a indicare gli avversari del governo e delle sempre annunciate riforme evocando genericamente «gufi e rosiconi». «Gufi e rosiconi» – ce lo consenta il presidente del Consiglio – insieme ai «selfie», al «cinque», ai «Twitter», agli hashtag, hanno fatto parte di un ambito comunicativo ormai oggettivamente superato: quello in cui egli si è impegnato a «farsi un’immagine» e costruire consenso intorno alla sua persona. Sono serviti a sottolinearne l’informalità, la giovinezza, la simpatia, la carica di rottura rispetto al passato. E l’hanno fatto egregiamente: il risultato si è visto sul piano elettorale così come si continua a vedere nei sondaggi. Sta bene; ora però serve un consenso diverso.
Ora a Renzi serve un consenso non più sulla sua persona (che già ha), ma sulla sua politica. Politica che, lo sappiamo, può essere solo quella delle tanto attese e sempre rimandate riforme. Per citare alla rinfusa le principali: l’ammontare esorbitante della spesa pubblica, i costi e gli eccessivi poteri delle Regioni, l’eccessivo prelievo fiscale sul lavoro nelle sue varie forme e le norme sui contratti di lavoro, l’ordinamento giudiziario, la chiusura corporativa degli ordini professionali, lo strapotere paralizzante dell’alta burocrazia, la scarsa efficienza di tutte le pubbliche amministrazioni con la farraginosità spesso assurda delle procedure. È un elenco da far tremare le vene ai polsi: per la complessità di ognuna delle materie indicate, ma soprattutto per la forza e la determinazione delle categorie, degli interessi, dei gruppi di pressione, che – è fin troppo facile prevederlo – sentendosi ogni volta minacciati dal minimo cambiamento saranno pronti, come hanno già fatto mille volte, a scendere sul sentiero di guerra contro il governo servendosi di tutti i mezzi.
È nell’aspra lotta contro questi avversari che si deciderà il futuro dell’Italia e, insieme, il destino del presidente del Consiglio: ed è dunque in vista di questa lotta che egli deve trovare d’ora in avanti il consenso senza il quale sarà sicuramente sconfitto. Ma un tale consenso – non superficiale, strutturato – egli riuscirà a trovarlo solo se cambierà il suo modo di comunicare con il Paese, solo se il suo rapporto con esso farà uno scatto in avanti decisivo. Non più fondato sulla «simpatia», su un gesto più o meno accattivante, su un sorriso o una battuta indovinata, bensì sulla capacità di creare nell’opinione pubblica un diffuso e ben radicato convincimento della necessità di fare le cose che vanno fatte. Proprio in vista di ciò d’ora in poi il presidente del Consiglio deve smettere d’intrattenere il Paese, deve parlargli: che è cosa diversa.
L’Italia, se vuole cambiare, ha bisogno innanzi tutto di verità e di serietà. Di entrambe Renzi deve farsi carico: con interventi non estemporanei e con un discorso alto, e magari drammatico, come il momento richiede e come i leader democratici degni del nome hanno l’obbligo di saper fare.