ItaliaOggi, martedì 12 novembre 2013, 27 agosto 2014
Tags : Come sarà il 2014 (Clichy 2013)
Il 2014 e la democrazia in pericolo. Domande a Dell‘Arti (articolo del 12/11/2013)
ItaliaOggi, martedì 12 novembre 2013
C’è il sociologo Giuseppe De Rita, che denuncia i suoi 101 sulla strada del Colle («Bruciato Marini, bruciato Prodi, ci si sarebbe apparecchiati al massacro di quelli che venivano dopo: Amato, De Rita, Cassese, Violante, tutti pronti ad essere sacrificati sull’altare di un conflitto sempre più aspro. Sa chi elegge davvero il presidente della Repubblica? Corriere della Sera, Repubblica e Stampa. Basta guardare come sono stati trattati, alla vigilia, i possibili candidati. Di me la Repubblica ha scritto che ero il candidato di Cirino Pomicino e di Mastella, che è come procedere a una decapitazione»); c’è Marco Travaglio, che ammette che Berlusconi non è affatto un mediocre («Naturalmente no. È l’unico che un’idea in testa, un disegno, ce l’ha. Un disegno malefico, intendiamoci. Però ce l’ha. Anzi, gli unici che hanno in testa un disegno sono lui e Napolitano. Due disegni malefici, in parte coincidenti. Enrico Letta ha la stessa funzione che ebbe Mario Monti, la custodia del disegno malefico di Napolitano»).
E ancora. Pupi Avati che ha nostalgia della povertà, Arrigo Cipriani che bolla la gastro-star Gordon Ramsay come «la rovina della cucina», Umberto Brindani, direttore di Oggi, che «ripudia» le Mara Venier, Simona Ventura e Barbara D’Urso (in favore delle teste coronate). C’è l’economista Alberto Bagnai, convinto che «prima o poi l’euro salterà»; Roberto D’Agostino che fa D’Agostino («Hai mai visto qualcuno che in Italia si dimette? Ciampi, per restare aggrappato al Quirinale, s’era pure fatto crescere le unghie»); il generale Fabio Mini che profetizza una resa dei conti nel Pacifico; Massimo Gramellini che punta su Enrico Letta al Quirinale nel 2016.
Ce ne sono sessanta di celebrità, vere o presunte, nel nuovo libro di Giorgio Dell’Arti, Come sarà il 2014 (Edizioni Clichy). Dalla politica all’economia, passando per il cinema, il calcio e la tv: una centrifuga pirotecnica di alto e basso dove l’alto è l’ex pornostar Selen e il basso Marcello Veneziani. Dell’Arti, fondatore del Venerdì di Repubblica, oggi curatore dell’edizione del lunedì del Foglio, intervista ciascuno sul futuro del proprio settore, solleticandone l’ego e l’(eventuale) intelligenza. Ma se a detta di un po’ tutti nell’anno che verrà non ce la passeremo molto bene, le previsioni più catastrofiste sono quelle che l’autore fa a ItaliaOggi.
Avvertiamo Saccomanni: la crisi è tutt’altro che finita.
«Proprio così. Lo spazio per scendere, purtroppo, è ancora tanto. Le ragioni strutturali della recessione non sono state rimosse. Neanche una, in nessuna parte del mondo. Questo significa che non solo non ne siamo fuori, ma che siamo destinati ad affrontare un nuovo choc più forte del primo. È come con i terremoti: si accumula tensione e poi un bel giorno... Bum».
Addirittura. Quindi siamo scampati ai Maya, abbiamo schivato il satellite Goce, ma...
«Ma presto esploderà tutto. La ricetta americana e giapponese, di grandi immissioni di liquidità sul mercato, ha portato sollievo un po’ ovunque. Ma non può durare, è solo un analgesico. Temo un nuovo crollo, con grossi pericoli per l’euro, tanto più grave per noi italiani perché abbiamo sottoscritto un patto fiscale che ci costringe a ripianare il debito al ritmo di 40 miliardi l’anno. E la nostra criminale debolezza politica non potrà che fare da moltiplicatore delle difficoltà».
Criminale?
«Certo. Lo sanno tutti che viviamo in uno Stato paracriminale: non lo diciamo solo perché facciamo finta di non vedere. Da Berlusconi a Nichi Vendola, fino a Enrico Letta, la metafora dell’Italia è il crimine politico. Il presidente del Consiglio è il meno peggio. Ma non sta facendo nulla».
A L’Arena di Giletti ha chiesto di essere giudicato a fine percorso. E Renzi invece, segretario in pectore del Pd e probabile futuro premier?
«Fa discorsi ridicoli. Semplifica la complessità, fingendo di non sapere (o non sapendo, che sarebbe gravissimo) quanto tutto in Italia sia bizantino. Come può dire, “Facciamo una legge di soli 70 articoli che governi il mondo del lavoro”, quando questo è regolato da tremila leggi che è impossibile eliminare?
Capisco che debba parlare in modo semplice per vincere le elezioni, ma di quelli che semplificano io ho il terrore. Gente che cerca di farci credere che avendo fatto una qualunque scemenza hanno cambiato il mondo, mentre invece non è cambiato niente, e continuerà a funzionare nello stesso, identico modo anche con lui al governo. Ovvero, se non sei amico degli amici, se non sei introdotto nei posti giusti, ti attacchi. Renzi vuole sedurre il popolo con la sua giovinezza e slogan ben studiati, ma dopo la propaganda io devo assaggiare il prodotto, e del prodotto di Renzi non ho idea alcuna».
Meglio un libro di Fabio Volo che un voto a Matteo Renzi, ha scritto Eugenio Scalfari nel consueto sermone della domenica. Rendendo il sindaco di Firenze immediatamente più simpatico a tanti.
«Per carità, io penso che la semplicità debba essere il primo articolo della Costituzione. Ma mi rendo conto delle difficoltà di attuare la semplificazione in un Paese dove tutti hanno il diritto di opporsi a tutto, di mettere in pratica qualunque azione per contrastare qualunque cosa. Questa è la nostra democrazia: un Paese di folli dove non c’è mai una decisione definitiva. È quello che chiedo, e mi chiedo, anche nel libro: quanto può durare una democrazia che si basa su questi presupposti? Quanto ci costa? E ce lo possiamo permettere?».
C’è il sociologo Giuseppe De Rita, che denuncia i suoi 101 sulla strada del Colle («Bruciato Marini, bruciato Prodi, ci si sarebbe apparecchiati al massacro di quelli che venivano dopo: Amato, De Rita, Cassese, Violante, tutti pronti ad essere sacrificati sull’altare di un conflitto sempre più aspro. Sa chi elegge davvero il presidente della Repubblica? Corriere della Sera, Repubblica e Stampa. Basta guardare come sono stati trattati, alla vigilia, i possibili candidati. Di me la Repubblica ha scritto che ero il candidato di Cirino Pomicino e di Mastella, che è come procedere a una decapitazione»); c’è Marco Travaglio, che ammette che Berlusconi non è affatto un mediocre («Naturalmente no. È l’unico che un’idea in testa, un disegno, ce l’ha. Un disegno malefico, intendiamoci. Però ce l’ha. Anzi, gli unici che hanno in testa un disegno sono lui e Napolitano. Due disegni malefici, in parte coincidenti. Enrico Letta ha la stessa funzione che ebbe Mario Monti, la custodia del disegno malefico di Napolitano»).
E ancora. Pupi Avati che ha nostalgia della povertà, Arrigo Cipriani che bolla la gastro-star Gordon Ramsay come «la rovina della cucina», Umberto Brindani, direttore di Oggi, che «ripudia» le Mara Venier, Simona Ventura e Barbara D’Urso (in favore delle teste coronate). C’è l’economista Alberto Bagnai, convinto che «prima o poi l’euro salterà»; Roberto D’Agostino che fa D’Agostino («Hai mai visto qualcuno che in Italia si dimette? Ciampi, per restare aggrappato al Quirinale, s’era pure fatto crescere le unghie»); il generale Fabio Mini che profetizza una resa dei conti nel Pacifico; Massimo Gramellini che punta su Enrico Letta al Quirinale nel 2016.
Ce ne sono sessanta di celebrità, vere o presunte, nel nuovo libro di Giorgio Dell’Arti, Come sarà il 2014 (Edizioni Clichy). Dalla politica all’economia, passando per il cinema, il calcio e la tv: una centrifuga pirotecnica di alto e basso dove l’alto è l’ex pornostar Selen e il basso Marcello Veneziani. Dell’Arti, fondatore del Venerdì di Repubblica, oggi curatore dell’edizione del lunedì del Foglio, intervista ciascuno sul futuro del proprio settore, solleticandone l’ego e l’(eventuale) intelligenza. Ma se a detta di un po’ tutti nell’anno che verrà non ce la passeremo molto bene, le previsioni più catastrofiste sono quelle che l’autore fa a ItaliaOggi.
Avvertiamo Saccomanni: la crisi è tutt’altro che finita.
«Proprio così. Lo spazio per scendere, purtroppo, è ancora tanto. Le ragioni strutturali della recessione non sono state rimosse. Neanche una, in nessuna parte del mondo. Questo significa che non solo non ne siamo fuori, ma che siamo destinati ad affrontare un nuovo choc più forte del primo. È come con i terremoti: si accumula tensione e poi un bel giorno... Bum».
Addirittura. Quindi siamo scampati ai Maya, abbiamo schivato il satellite Goce, ma...
«Ma presto esploderà tutto. La ricetta americana e giapponese, di grandi immissioni di liquidità sul mercato, ha portato sollievo un po’ ovunque. Ma non può durare, è solo un analgesico. Temo un nuovo crollo, con grossi pericoli per l’euro, tanto più grave per noi italiani perché abbiamo sottoscritto un patto fiscale che ci costringe a ripianare il debito al ritmo di 40 miliardi l’anno. E la nostra criminale debolezza politica non potrà che fare da moltiplicatore delle difficoltà».
Criminale?
«Certo. Lo sanno tutti che viviamo in uno Stato paracriminale: non lo diciamo solo perché facciamo finta di non vedere. Da Berlusconi a Nichi Vendola, fino a Enrico Letta, la metafora dell’Italia è il crimine politico. Il presidente del Consiglio è il meno peggio. Ma non sta facendo nulla».
A L’Arena di Giletti ha chiesto di essere giudicato a fine percorso. E Renzi invece, segretario in pectore del Pd e probabile futuro premier?
«Fa discorsi ridicoli. Semplifica la complessità, fingendo di non sapere (o non sapendo, che sarebbe gravissimo) quanto tutto in Italia sia bizantino. Come può dire, “Facciamo una legge di soli 70 articoli che governi il mondo del lavoro”, quando questo è regolato da tremila leggi che è impossibile eliminare?
Capisco che debba parlare in modo semplice per vincere le elezioni, ma di quelli che semplificano io ho il terrore. Gente che cerca di farci credere che avendo fatto una qualunque scemenza hanno cambiato il mondo, mentre invece non è cambiato niente, e continuerà a funzionare nello stesso, identico modo anche con lui al governo. Ovvero, se non sei amico degli amici, se non sei introdotto nei posti giusti, ti attacchi. Renzi vuole sedurre il popolo con la sua giovinezza e slogan ben studiati, ma dopo la propaganda io devo assaggiare il prodotto, e del prodotto di Renzi non ho idea alcuna».
Meglio un libro di Fabio Volo che un voto a Matteo Renzi, ha scritto Eugenio Scalfari nel consueto sermone della domenica. Rendendo il sindaco di Firenze immediatamente più simpatico a tanti.
«Per carità, io penso che la semplicità debba essere il primo articolo della Costituzione. Ma mi rendo conto delle difficoltà di attuare la semplificazione in un Paese dove tutti hanno il diritto di opporsi a tutto, di mettere in pratica qualunque azione per contrastare qualunque cosa. Questa è la nostra democrazia: un Paese di folli dove non c’è mai una decisione definitiva. È quello che chiedo, e mi chiedo, anche nel libro: quanto può durare una democrazia che si basa su questi presupposti? Quanto ci costa? E ce lo possiamo permettere?».
Costanza Rizzacasa d’Orsogna