ItaliaOggi, 28 maggio 2013, 16 agosto 2014
Tags : Abenomics
2013/05/28 - Un’esperienza simile in passato
ItaliaOggi, 28 maggio 2013
Partiamo dal Sol Levante ove, con il tracollo improvviso del Nikkei, l’Abenomics si trova a fronteggiare la prima crisi dopo la decisione di allentare, a suon di sostegno monetario e di stimoli inflazionistici, l’economia che ristagna da un quarto di secolo. Un incidente di percorso provocato dal rallentamento dell’economia cinese (al di là delle polemiche, ormai è il fratello siamese del made in Japan ancor più degli Usa) e dalla minaccia della fine del Quantitative Easing della Fed, il vero motore dell’euforia dei mercati. Un incidente di percorso, per ora. Poi si vedrà.
La politica di Shinzo Abe ha un precedente ben preciso. All’inizio degli anni Trenta, il Giappone, primo fra tutti, decise di rompere con la politica deflazionistica che aveva provocato tra il 1926 e il 1931 un calo del reddito di circa un terzo per le famiglie e l’esplodere della disoccupazione. Il ministro delle Finanze Takahashi Korekiyo (già governatore della Bank of Japan) avviò per primo una politica di riforme keynesiane: abbandono del sistema monetario aureo (sulla scia di Gran Bretagna e Germania), svalutazione dello yen, introduzione di un sistema di controlli sui cambi, incremento della spesa pubblica, con un occhio di riguardo al riarmo dell’esercito e della marina imperiale.
La svolta economica favorì la creazione di una nuova leadership economica e politica: i gunbtsu, combinazione tra i cartelli dell’industria chimica e meccanica pesante e l’elemento militare, decisivo nell’orientare le scelte strategiche del paese.
A livello di base, la nuova politica ebbe il consenso della piccola borghesia ma anche degli operai, uniti dall’odio per i vecchi zaibatsu, considerati i responsabili della crisi. Come andò a finire? Non bene. Korekiyo, una volta rimesso a regime il motore dell’economia, volle dar vita a una fase due, ovvero limitare deficit e spesa pubblica per rimettere a posto le finanze. Una scelta che gli costò la vita: venne ucciso in un blitz benedetto dall’esercito, che in Cina faceva le prove per la Seconda guerra mondiale.
The Economist ha di recente sottolineato la natura politica della scossa di Abe all’economia giapponese. Shinzo Abe è nipote di Nobusuke Kishi, governatore negli anni Trenta della Manciuria occupata dalle truppe imperiali. È un nazionalista convinto che intende riaffermare il primato del Giappone. L’Abenomics, è la tesi del settimanale, è la risposta al sorpasso del Pil della Cina, che ha spodestato Tokyo dal posto di seconda economia del pianeta e che, in parallelo, ha intensificato le sue mire imperiali: sulle isole Daoyu o Shensako (come le chiamano i giapponesi) o sulla stessa Okinawa. Le analogie con il passato, per ora, si fermano qui. La Abenomics ha il pieno sostegno degli Usa, decisi a rafforzare il Giappone in funzione anticinese e però pronti a collaborare perché Abe vinca le elezioni a luglio e conquisti la maggioranza parlamentare necessaria per le riforme costituzionali. Tra queste figura la volontà di restituire all’imperatore il ruolo di Capo dello Stato.
Partiamo dal Sol Levante ove, con il tracollo improvviso del Nikkei, l’Abenomics si trova a fronteggiare la prima crisi dopo la decisione di allentare, a suon di sostegno monetario e di stimoli inflazionistici, l’economia che ristagna da un quarto di secolo. Un incidente di percorso provocato dal rallentamento dell’economia cinese (al di là delle polemiche, ormai è il fratello siamese del made in Japan ancor più degli Usa) e dalla minaccia della fine del Quantitative Easing della Fed, il vero motore dell’euforia dei mercati. Un incidente di percorso, per ora. Poi si vedrà.
La politica di Shinzo Abe ha un precedente ben preciso. All’inizio degli anni Trenta, il Giappone, primo fra tutti, decise di rompere con la politica deflazionistica che aveva provocato tra il 1926 e il 1931 un calo del reddito di circa un terzo per le famiglie e l’esplodere della disoccupazione. Il ministro delle Finanze Takahashi Korekiyo (già governatore della Bank of Japan) avviò per primo una politica di riforme keynesiane: abbandono del sistema monetario aureo (sulla scia di Gran Bretagna e Germania), svalutazione dello yen, introduzione di un sistema di controlli sui cambi, incremento della spesa pubblica, con un occhio di riguardo al riarmo dell’esercito e della marina imperiale.
La svolta economica favorì la creazione di una nuova leadership economica e politica: i gunbtsu, combinazione tra i cartelli dell’industria chimica e meccanica pesante e l’elemento militare, decisivo nell’orientare le scelte strategiche del paese.
A livello di base, la nuova politica ebbe il consenso della piccola borghesia ma anche degli operai, uniti dall’odio per i vecchi zaibatsu, considerati i responsabili della crisi. Come andò a finire? Non bene. Korekiyo, una volta rimesso a regime il motore dell’economia, volle dar vita a una fase due, ovvero limitare deficit e spesa pubblica per rimettere a posto le finanze. Una scelta che gli costò la vita: venne ucciso in un blitz benedetto dall’esercito, che in Cina faceva le prove per la Seconda guerra mondiale.
The Economist ha di recente sottolineato la natura politica della scossa di Abe all’economia giapponese. Shinzo Abe è nipote di Nobusuke Kishi, governatore negli anni Trenta della Manciuria occupata dalle truppe imperiali. È un nazionalista convinto che intende riaffermare il primato del Giappone. L’Abenomics, è la tesi del settimanale, è la risposta al sorpasso del Pil della Cina, che ha spodestato Tokyo dal posto di seconda economia del pianeta e che, in parallelo, ha intensificato le sue mire imperiali: sulle isole Daoyu o Shensako (come le chiamano i giapponesi) o sulla stessa Okinawa. Le analogie con il passato, per ora, si fermano qui. La Abenomics ha il pieno sostegno degli Usa, decisi a rafforzare il Giappone in funzione anticinese e però pronti a collaborare perché Abe vinca le elezioni a luglio e conquisti la maggioranza parlamentare necessaria per le riforme costituzionali. Tra queste figura la volontà di restituire all’imperatore il ruolo di Capo dello Stato.
Ugo Bertone