La Stampa, 14 agosto 2014, 15 agosto 2014
Tags : Mezzogiorno d’Italia
Aggiornamento sui problemi del Mezzogiorno in occasione della visita di Renzi (13/8/2014)
La Stampa, 14 agosto 2014
CONSUMI A PICCO E DISOCCUPAZIONE LA SPIRALE DELLA CRISI CHE SOFFOCA IL SUD –
Nella desolante aritmetica dei conti e dell’impietosa fotografia dei numeri, tutti rigorosamente preceduti dal segno meno, il viaggio della «speranza» di Matteo Renzi nel Mezzogiorno ricorda un po’ quello di un altro illustre fiorentino. Il Sud come l’Inferno di Dante, tra disoccupazione e disagio sociale, nei gironi di una crisi devastante, dove impera la legge della rassegnazione. Riuscirà il premier a consegnare a quel pezzo di Paese rimasto più indietro del resto d’Italia un messaggio di fiducia? Una missione che non potrà prescindere, gioco forza, dal confronto con la disarmante realtà delle cifre.
IL CROLLO DELL’INDUSTRIA
Il Rapporto Svimez 2014 parla, senza mezzi termini, di economia del Mezzogiorno a «rischio eutanasia». Effetto di un crollo del 13,3%, quasi il doppio rispetto al 7% del Centro-Nord. Altrettanto impietoso l’elenco delle cause: «Tendenziale desertificazione industriale, incapacità di generare reddito e posti di lavoro, allontanamento dalle traiettorie di sviluppo europee, con il rischio di avvitamento in una ulteriore spirale perversa di calo della domanda e disoccupazione». E mentre il Pil pro capite è ripiombato a livelli simili a quelli della metà degli anni 2000 (16.888 euro nel 2013 contro i 16.511 del 2005), anche sul fronte del lavoro gli indicatori certificano la caduta libera. Tra il 2008 e il 2013, l’occupazione ha fatto registrare un crollo del 9%, quattro volte superiore rispetto al Centro-Nord (-2,4%). «Dei circa 985 mila posti di lavoro persi in Italia nello scorso sessennio - recita il Rapporto - ben 583 mila sono nel Sud». Una crisi talmente rimarcata da provocare un parallelo crollo dei consumi delle famiglie meridionali di quasi 13 punti percentuali (-12,7%), oltre due volte maggiore di quello registrato nel resto del Paese (-5,7%).
DIVARIO NORD SUD
«La visita del premier Renzi è un fatto molto positivo perché con la sua presenza sottolinea la centralità del rilancio del Mezzogiorno nell’azione di governo», sottolinea il sottosegretario all’Economia, Giovanni Legnini, cui non sfugge di certo l’acuirsi del divario tra Nord e Sud nelle pieghe dei numeri della grande crisi degli ultimi anni. «Da troppo tempo manca una politica mirata che non può prescindere dagli investimenti pubblici», prosegue, rimandando alla ricorrente questione delle coperture e delle risorse necessarie. «Due gli obiettivi da perseguire: elevamento degli standard qualitativi di vita, dall’istruzione ai trasporti, e della capacità produttiva creando nuove opportunità di lavoro - conclude Legnini -. L’impostazione della programmazione dei fondi comunitari va proprio in questa duplice direzione, altre risorse possono arrivare dai Fondi sviluppo e coesione, circa 45 miliardi nei prossimi 7 anni».
PIL IN CALO
Dallo Svimez al Check Up Mezzogiorno elaborato da Confindustria e Srm, la salute dell’economia del Sud resta sempre cagionevole. Pil in calo di 47,7 miliardi, 32 mila imprese in meno, oltre 600 mila posti di lavoro persi, 114 mila persone in cassa integrazione, quasi 2 giovani su 3 disoccupati dal 2007 ad oggi. Emanuele Felice, professore associato di economia e storia economica all’Università autonoma di Barcellona, autore del libro «Perché il Sud è rimasto indietro», analizza le cause proponendo una ricetta. «Nell’immediato Renzi dovrebbe cambiare le regole sull’amministrazione pubblica e gli amministratori, per rompere le sacche di privilegio favorendo trasparenza e responsabilità - spiega -. Una cosa che si potrebbe fare subito è l’istituzione, con una legge nazionale, dell’anagrafe pubblica degli amministratori e degli eletti, che permetterebbe di verificare per chi e come votano e le variazioni nei loro patrimoni. Insomma, una forma di controllo dal basso».
I FINANZIAMENTI
Altro capitolo riguarda l’impiego dei finanziamenti Ue. «Va superata la logica degli stanziamenti ex ante, a fondo perduto o tramite prestiti scontati, controindicata in zone caratterizzate da clientelismo e alta incidenza criminale - conclude Felice -. Andrebbero assegnati con il sistema della agevolazioni fiscali: prima fai le cose e poi incassi».
Al Sud, nel 2013, l’Istat ha registrato, sia nel comparto dell’industria che in quello dei servizi, un crollo del valore aggiunto rispettivamente dell’8,3 e del 3,1 per cento. «Eppure, negli ultimi 10 anni, al Sud non ci sono state né guerre né epidemie, ma è il risultato di una incapacità endogena di organizzare i fattori: le risorse ci sono, ma non si riescono ad impiegare, come dimostra ad esempio l’incapacità di spendere i fondi comunitari», fa notare il sociologo Domenico De Masi che sulla visita di Renzi non nutre particolari aspettative. «Se a Napoli sedesse un triumvirato composto da Churchill, De Gaulle e Roosevelt non riuscirebbe comunque a fare nulla - taglia corto -. Il sottosviluppo è un problema complesso e di lunga data, alimentato anche dagli errori degli stessi meridionali nella scelta delle classi dirigenti in una terra che oggi si contraddistingue per la presenza, dal punto di vista economico, di ben quattro multinazionali: quelle del crimine».
CONSUMI A PICCO E DISOCCUPAZIONE LA SPIRALE DELLA CRISI CHE SOFFOCA IL SUD –
Nella desolante aritmetica dei conti e dell’impietosa fotografia dei numeri, tutti rigorosamente preceduti dal segno meno, il viaggio della «speranza» di Matteo Renzi nel Mezzogiorno ricorda un po’ quello di un altro illustre fiorentino. Il Sud come l’Inferno di Dante, tra disoccupazione e disagio sociale, nei gironi di una crisi devastante, dove impera la legge della rassegnazione. Riuscirà il premier a consegnare a quel pezzo di Paese rimasto più indietro del resto d’Italia un messaggio di fiducia? Una missione che non potrà prescindere, gioco forza, dal confronto con la disarmante realtà delle cifre.
IL CROLLO DELL’INDUSTRIA
Il Rapporto Svimez 2014 parla, senza mezzi termini, di economia del Mezzogiorno a «rischio eutanasia». Effetto di un crollo del 13,3%, quasi il doppio rispetto al 7% del Centro-Nord. Altrettanto impietoso l’elenco delle cause: «Tendenziale desertificazione industriale, incapacità di generare reddito e posti di lavoro, allontanamento dalle traiettorie di sviluppo europee, con il rischio di avvitamento in una ulteriore spirale perversa di calo della domanda e disoccupazione». E mentre il Pil pro capite è ripiombato a livelli simili a quelli della metà degli anni 2000 (16.888 euro nel 2013 contro i 16.511 del 2005), anche sul fronte del lavoro gli indicatori certificano la caduta libera. Tra il 2008 e il 2013, l’occupazione ha fatto registrare un crollo del 9%, quattro volte superiore rispetto al Centro-Nord (-2,4%). «Dei circa 985 mila posti di lavoro persi in Italia nello scorso sessennio - recita il Rapporto - ben 583 mila sono nel Sud». Una crisi talmente rimarcata da provocare un parallelo crollo dei consumi delle famiglie meridionali di quasi 13 punti percentuali (-12,7%), oltre due volte maggiore di quello registrato nel resto del Paese (-5,7%).
DIVARIO NORD SUD
«La visita del premier Renzi è un fatto molto positivo perché con la sua presenza sottolinea la centralità del rilancio del Mezzogiorno nell’azione di governo», sottolinea il sottosegretario all’Economia, Giovanni Legnini, cui non sfugge di certo l’acuirsi del divario tra Nord e Sud nelle pieghe dei numeri della grande crisi degli ultimi anni. «Da troppo tempo manca una politica mirata che non può prescindere dagli investimenti pubblici», prosegue, rimandando alla ricorrente questione delle coperture e delle risorse necessarie. «Due gli obiettivi da perseguire: elevamento degli standard qualitativi di vita, dall’istruzione ai trasporti, e della capacità produttiva creando nuove opportunità di lavoro - conclude Legnini -. L’impostazione della programmazione dei fondi comunitari va proprio in questa duplice direzione, altre risorse possono arrivare dai Fondi sviluppo e coesione, circa 45 miliardi nei prossimi 7 anni».
PIL IN CALO
Dallo Svimez al Check Up Mezzogiorno elaborato da Confindustria e Srm, la salute dell’economia del Sud resta sempre cagionevole. Pil in calo di 47,7 miliardi, 32 mila imprese in meno, oltre 600 mila posti di lavoro persi, 114 mila persone in cassa integrazione, quasi 2 giovani su 3 disoccupati dal 2007 ad oggi. Emanuele Felice, professore associato di economia e storia economica all’Università autonoma di Barcellona, autore del libro «Perché il Sud è rimasto indietro», analizza le cause proponendo una ricetta. «Nell’immediato Renzi dovrebbe cambiare le regole sull’amministrazione pubblica e gli amministratori, per rompere le sacche di privilegio favorendo trasparenza e responsabilità - spiega -. Una cosa che si potrebbe fare subito è l’istituzione, con una legge nazionale, dell’anagrafe pubblica degli amministratori e degli eletti, che permetterebbe di verificare per chi e come votano e le variazioni nei loro patrimoni. Insomma, una forma di controllo dal basso».
I FINANZIAMENTI
Altro capitolo riguarda l’impiego dei finanziamenti Ue. «Va superata la logica degli stanziamenti ex ante, a fondo perduto o tramite prestiti scontati, controindicata in zone caratterizzate da clientelismo e alta incidenza criminale - conclude Felice -. Andrebbero assegnati con il sistema della agevolazioni fiscali: prima fai le cose e poi incassi».
Al Sud, nel 2013, l’Istat ha registrato, sia nel comparto dell’industria che in quello dei servizi, un crollo del valore aggiunto rispettivamente dell’8,3 e del 3,1 per cento. «Eppure, negli ultimi 10 anni, al Sud non ci sono state né guerre né epidemie, ma è il risultato di una incapacità endogena di organizzare i fattori: le risorse ci sono, ma non si riescono ad impiegare, come dimostra ad esempio l’incapacità di spendere i fondi comunitari», fa notare il sociologo Domenico De Masi che sulla visita di Renzi non nutre particolari aspettative. «Se a Napoli sedesse un triumvirato composto da Churchill, De Gaulle e Roosevelt non riuscirebbe comunque a fare nulla - taglia corto -. Il sottosviluppo è un problema complesso e di lunga data, alimentato anche dagli errori degli stessi meridionali nella scelta delle classi dirigenti in una terra che oggi si contraddistingue per la presenza, dal punto di vista economico, di ben quattro multinazionali: quelle del crimine».
Antonio Pitoni