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 2014  agosto 15 Venerdì calendario

Il caso del premio Fields a Maryam Mirzakhani

La Stampa 14/8/2014
STATISTICA E PREGIUDIZIO È ANCORA VERO CHE I MASCHI CAPISCONO MEGLIO I NUMERI? –
I numeri non si discutono. Nei suoi ottant’anni di vita, la medaglia Fields, il più prestigioso riconoscimento nel campo della matematica, è andato solo una volta a una donna. Una su 56 premiati. E il rapporto Ocse-Pisa 2012, che raccoglie e valuta le performance scolastiche dei quindicenni di tutto il mondo, racconta che ai test di matematica le studentesse ottengono in media 11 punti in meno rispetto ai ragazzi. Una differenza che in Italia è ancora più profonda: 18 punti.
Ecco (apparentemente) confermato lo stereotipo: quando si parla di decimali, radici quadrate, equazioni e logaritmi le donne sono meno brave degli uomini. «Ma certo che è così, le statistiche non mentono», dice uno che il matematico lo fa di mestiere, Piergiorgio Odifreddi. Ne è convinto: con i numeri, come nella musica e negli scacchi, gli uomini sono meglio. Ma non è discriminazione, sostiene lui. «È una questione di sensibilità. La matematica è troppo astratta. Le donne prediligono le applicazioni pratiche. Anche Rita Levi Montalcini e Margherita Hack, due grandi della ricerca, hanno scelto fisica e astronomia».
Per arrivare a risultati che migliorassero la vita di tutti. «I numeri - conclude Odifreddi - restano lontano dalla realtà. Studi di questo tipo sono più congeniali agli uomini. Vedremo se Maryam Mirzakhani sarà l’eccezione che conferma la regola o no».
Quando nove anni fa, in America, qualcuno provò a sostenere la stessa opinione, ci fu una sollevazione. Lawrence Summers, rettore di Harvard, disse di essere convinto che le donne non possedevano le stesse capacità innate degli uomini in matematica. Seguirono polemiche, dibattiti, richieste di scuse. Alla fine, Summers scrisse una lettera aperta di due pagine ammettendo lo sbaglio che rischiava involontariamente di scoraggiare molte ragazze a intraprendere studi in quel campo.
Pure la Mattel non la passò liscia. Era il 1992 e la casa americana aveva appena lanciato sul mercato la Barbie parlante. Una delle 270 frasi pre-registrate che la bambola poteva ripetere era: «La matematica è difficile». Apriti cielo. Le associazioni studentesche femminili scatenarono una guerra e l’azienda ritirò il prodotto.
«È un pregiudizio talmente radicato che le ragazze finiscono per crederci davvero», sottolinea Francesca Zajczyk, docente di Sociologia a Milano Bicocca. Spesso, sostiene, sono proprio gli insegnanti, senza rendersene conto, a pretendere risultati diversi nei test di matematica da bambine e bambini, con questi ultimi che - nelle aspettative - sono sempre i primi della classe.
Ma sembra che qualcosa stia cambiando. Oggi le ragazze iscritte a ingegneria superano il 20%. Alla Scuola Sant’Anna di Pisa, a Biorobotica, dove la matematica è la base, lavorano più ricercatrici che colleghi maschi. «È un primo segnale e sono convinta che questo processo sia irreversibile - commenta Zajczyk -. Le famiglie hanno ancora molta influenza sui figli nella scelta del percorso universitario e lì gli stereotipi resistono. A questo aggiungiamo anche che per le donne che lavorano in settori scientifici diventa difficile tenere insieme carriera e voglia di famiglia». Chissà che il sorriso di Maryam Mirzakhani arrivato ieri da Seoul non aiuti le ragazze a provarci una volta in più.
Lorenza Castagneri