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 2014  agosto 15 Venerdì calendario

Egle Santolini sulla Stampa del 14/8/2014

La Stampa, 14 agosto 2014
E LA FABBRICA DI IMMAGINI COSTRUÌ LA STAR PERFETTA –
Prendi la moglie di un regista di successo, mettile in mano una rivista di moda, lascia che noti la ragazza in copertina e aspetta che la storia di Hollywood faccia il suo corso. Miracoli del genere erano ancora possibili nel 1943 e dunque se Slim non avesse segnalato a suo marito Howard Hawks la bionda diciannovenne che su Harper’s Bazaar faceva propaganda alla Croce Rossa americana, la carriera cinematografica di Betty Perske, in seguito Bacall, avrebbe dovuto aspettare ancora un po’. Da allora fu Lauren, Lauren per sempre: quello sguardo di sotto in su liquido e stretto, quelle gambe, quell’onda morbida di capelli. Quella voce mielosa e torbida, anche, tornita con due pacchetti di sigarette al giorno, che nessun doppiaggio si sarebbe mai dovuto permettere di sostituire.
Presenza fisica prima che attrice formidabile, Bacall è infatti il prodotto perfettissimo di una fabbrica di immagini che mai più ha funzionato così bene, con tanti saluti ai talent show: in grado di trasformare una ragazza di Brooklyn figlia di emigranti in donna del sogno, e di farla rimanere, nei sogni, per settant’anni. Di sicuro occorrevano certe caratteristiche genetiche: la struttura ossea, l’allure naturale, la camminata da principessa. Occorreva soprattutto lo sguardo capace di scoprire queste doti, nel caso la mitologica direttrice di Harper’s Bazaar. «E’ stata la svolta del destino che mi ha cambiato la vita - scrive Bacall nella sua autobiografia -. Diana Vreeland mi strinse la mano, mi guardò in faccia, mi prese il mento e mi rigirò da destra a sinistra. Ero spaventata a morte perché non sapevo cosa stesse pensando».
Tutto il bene possibile, si scoprì poi. Proprio perché Bacall era lontanissima dal canone estetico degli anni di guerra, cioè dalle pin-up polpose alla Betty Grable, Vreeland capì di aver fatto bingo e la mise nelle mani di Louise Dahl-Wolfe, la prima di una serie di preziosi fotografi che avrebbe compreso, fra gli altri, Philippe Halsman, Elliott Landy, Bruce Davidson e Robert Capa.
Anche se la foto che forse decifra meglio il segreto di Bacall, intrecciandolo a quello di un’epoca, fu scattata sulla scaletta di un aereo ai tempi de La Regina d’Africa, Bogart nel mezzo e ai lati Lauren e Katharine Hepburn, sublimi proprio perché anomale, con i loro zigomi imperiosi e i loro pantaloni sportivi e la loro meravigliosa sfrontatezza. La rivalità con le altre stelle del cinema non l’ha difatti mai mortificata, e basti pensare al fantastico Come sposare un milionario e a quanto in quel film fa ridere e intenerisce accanto a Marilyn Monroe. Dove, tra l’altro, i costumi di scena erano uno più bello dell’altro.
Nessuna come lei ha portato gli abiti di lamé e i jumpsuit, cioè le tute elegantemente adattate all’ora dei cocktail; nessuna ha osato con altrettanta naturalezza l’ombelico scoperto, e stiamo sempre parlando degli Anni Quaranta. Pierre Cardin, Yves Saint-Laurent e Jean-Paul Gaultier l’hanno divinizzata, Kathleen Turner, Jessica Rabbit e Charlotte Rampling citata con deferenza.
Al Dakota Building su Central Park West, dove abitava, John Lennon e Leonard Bernstein sono stati fieri di averla come vicina. Molto del suo fascino stava in un mix consapevole di sex appeal e senso d’indipendenza, sempre più marcato col passare del tempo: ingiuria che non l’ha scalfita, visto che dopo i 50 le riuscì ancora di trionfare a Broadway. Sosteneva che «essere una stella non è una carriera ma un accidente». Ne conoscesse, il mondo, di accidenti del genere.
Egle Santolini