L’Europeo, n. 3, 2005, 9 agosto 2014
Tags : Arthur Miller
John Huston racconta il matrimonio con Marilyn
L’Europeo, n. 3, 2005
Lo scrittore Arthur Miller le diede una lista di letture, spiegandole le parole difficili e disse di lei: «È viva». Dopo 14 mesi M. ritornò a Hollywood per recitare la parte della cantante nel film Bus Stop, un’interpretazione che le procurò lodi entusiastiche. La Fox le aveva incredibilmente poi fatto importanti concessioni.
Cinque mesi più tardi si diffuse per New York un annuncio improvviso: Arthur Miller aveva scambiato il ruolo di insegnante per quello di innamorato e marito. Angoloso, serio, Miller non sembrava l’eroe gentile per la dea del sesso. Gli scettici li chiamarono il gufo e il gattino, e diedero al matrimonio una breve vita. Ma il gufo era rapito e la coppia era affiatata.
Chissà se nei genitori Miller, Marilyn trovò un affetto sicuro e durevole. Lei e Arthur fecero in modo di celebrare non un solo, tranquillo matrimonio, ma due: uno civile e uno ebraico. Determinata a essere una moglie completa per Arthur, lei prese lezioni sulla religione ebraica, imparò il giardinaggio e perfino a cuocere la zuppa di pollo.
La felicità dell’unione fu interrotta dagli impegni professionali. Con Miller Marilyn volò a Londra, dove la bionda svampita di Hollywood sarebbe apparsa nella sua stessa produzione, il film Il principe e la ballerina, col celeberrimo attore inglese Laurence Olivier.
Tra Marilyn e Olivier, che era anche il regista, si creavano di tanto in tanto momenti di tensione. Ma ciò che il mondo vedeva sullo schermo e sui giornali sembrava uscito dai racconti delle fate. Come in un valzer, Marilyn turbinava sempre più in alto, sempre più veloce, finché, come in tutti i racconti delle fate, l’orfanella incontrava la regina. Sembrava anche, a differenza dei racconti di fate, che l’orologio non avrebbe mai battuto la mezzanotte.
Ritornati a Londra, i Miller presero casa non a Hollywood ma a New York. Nel loro appartamento sull’East River, Marilyn si accinse al ruolo di padrona di casa, e spesso passeggiava nel giardinetto lì vicino, invaso di bambini e bambinaie. «I bambini sentivano il suo amore all’istante», diceva il marito. Di fatto, sperava di poter avere lei stessa dei figli.
Ma calò come un’ombra oscura. [...] Alcuni aborti scossero la sua fede, rinnovarono le antiche paure. All’inizio della sua carriera, M. si era affidata ai barbiturici per dormire, [...] adesso cercava sempre più una pietosa anestesia.
Cadute le sue speranze di diventare madre, decise di tornare al lavoro, in una commedia: A qualcuno piace caldo. L’entusiasmo iniziale fu presto scosso dall’indecisione di Marilyn e dal suo bisogno di rifare continuamente le scene. [...] Imprecisa o no, la sua rappresentazione fa un nuovo successo. Nella parte dell’eroina che dava la caccia a Tony Curtis credendolo un milionario, la «bionda oca» impersonata da Marilyn si rivelò un’invenzione profondamente comica invece del solito cliché. Col marito che non sorrideva mai, alla prima di Some Like it Hot Marilyn si pavoneggiò davanti ai fan. Aveva ragione. Il film fu un successo. Lei ottenne il dieci per cento degli incassi. La vita con Marilyn, però, comportava una serie di difficoltà. «Era», dice Miller, «come vivere nella vasca dei pesci rossi». Avendo avuto così poco affetto nella sua infanzia, il bisogno da parte di M. era distruttivo e sfinente. M. fece costruire per Miller uno studio isolato dai rumori, ma in cinque anni egli portò a termine solo un lavoro, il soggetto per un film che io diressi in Nevada nella calda estate del 1960: The Misfits.
Nella pellicola M. recitò accanto a un veterano del cinema, Clark Gable, il «re», il cui ultimo film sarebbe stato proprio questo. Ci furono momenti di allegra tenerezza. M. stessa aveva bizzarre qualità infantili, qualcosa di innocente e di puro. Ma il tempo e la vita le avevano fatto considerevoli danni. Prendeva talmente tante pillole per dormire che al mattino era costretta a prendere degli stimolanti per svegliarsi e questo la devastava. Infine crollò e dovetti mandarla in ospedale per una settimana, prima di poter riprendere a girare. L’eroina di Miller, naturalmente, somigliava molto a Marilyn.
The Misfits divenne l’epitaffio di Miller. Seguì un divorzio messicano, voci di suicidio tentato da Marilyn. Nei mesi successivi, fu ricoverata due volte in ospedale psichiatrico. All’uscita, dovette affrontare la sfida della stampa.
Lo scrittore Arthur Miller le diede una lista di letture, spiegandole le parole difficili e disse di lei: «È viva». Dopo 14 mesi M. ritornò a Hollywood per recitare la parte della cantante nel film Bus Stop, un’interpretazione che le procurò lodi entusiastiche. La Fox le aveva incredibilmente poi fatto importanti concessioni.
Cinque mesi più tardi si diffuse per New York un annuncio improvviso: Arthur Miller aveva scambiato il ruolo di insegnante per quello di innamorato e marito. Angoloso, serio, Miller non sembrava l’eroe gentile per la dea del sesso. Gli scettici li chiamarono il gufo e il gattino, e diedero al matrimonio una breve vita. Ma il gufo era rapito e la coppia era affiatata.
Chissà se nei genitori Miller, Marilyn trovò un affetto sicuro e durevole. Lei e Arthur fecero in modo di celebrare non un solo, tranquillo matrimonio, ma due: uno civile e uno ebraico. Determinata a essere una moglie completa per Arthur, lei prese lezioni sulla religione ebraica, imparò il giardinaggio e perfino a cuocere la zuppa di pollo.
La felicità dell’unione fu interrotta dagli impegni professionali. Con Miller Marilyn volò a Londra, dove la bionda svampita di Hollywood sarebbe apparsa nella sua stessa produzione, il film Il principe e la ballerina, col celeberrimo attore inglese Laurence Olivier.
Tra Marilyn e Olivier, che era anche il regista, si creavano di tanto in tanto momenti di tensione. Ma ciò che il mondo vedeva sullo schermo e sui giornali sembrava uscito dai racconti delle fate. Come in un valzer, Marilyn turbinava sempre più in alto, sempre più veloce, finché, come in tutti i racconti delle fate, l’orfanella incontrava la regina. Sembrava anche, a differenza dei racconti di fate, che l’orologio non avrebbe mai battuto la mezzanotte.
Ritornati a Londra, i Miller presero casa non a Hollywood ma a New York. Nel loro appartamento sull’East River, Marilyn si accinse al ruolo di padrona di casa, e spesso passeggiava nel giardinetto lì vicino, invaso di bambini e bambinaie. «I bambini sentivano il suo amore all’istante», diceva il marito. Di fatto, sperava di poter avere lei stessa dei figli.
Ma calò come un’ombra oscura. [...] Alcuni aborti scossero la sua fede, rinnovarono le antiche paure. All’inizio della sua carriera, M. si era affidata ai barbiturici per dormire, [...] adesso cercava sempre più una pietosa anestesia.
Cadute le sue speranze di diventare madre, decise di tornare al lavoro, in una commedia: A qualcuno piace caldo. L’entusiasmo iniziale fu presto scosso dall’indecisione di Marilyn e dal suo bisogno di rifare continuamente le scene. [...] Imprecisa o no, la sua rappresentazione fa un nuovo successo. Nella parte dell’eroina che dava la caccia a Tony Curtis credendolo un milionario, la «bionda oca» impersonata da Marilyn si rivelò un’invenzione profondamente comica invece del solito cliché. Col marito che non sorrideva mai, alla prima di Some Like it Hot Marilyn si pavoneggiò davanti ai fan. Aveva ragione. Il film fu un successo. Lei ottenne il dieci per cento degli incassi. La vita con Marilyn, però, comportava una serie di difficoltà. «Era», dice Miller, «come vivere nella vasca dei pesci rossi». Avendo avuto così poco affetto nella sua infanzia, il bisogno da parte di M. era distruttivo e sfinente. M. fece costruire per Miller uno studio isolato dai rumori, ma in cinque anni egli portò a termine solo un lavoro, il soggetto per un film che io diressi in Nevada nella calda estate del 1960: The Misfits.
Nella pellicola M. recitò accanto a un veterano del cinema, Clark Gable, il «re», il cui ultimo film sarebbe stato proprio questo. Ci furono momenti di allegra tenerezza. M. stessa aveva bizzarre qualità infantili, qualcosa di innocente e di puro. Ma il tempo e la vita le avevano fatto considerevoli danni. Prendeva talmente tante pillole per dormire che al mattino era costretta a prendere degli stimolanti per svegliarsi e questo la devastava. Infine crollò e dovetti mandarla in ospedale per una settimana, prima di poter riprendere a girare. L’eroina di Miller, naturalmente, somigliava molto a Marilyn.
The Misfits divenne l’epitaffio di Miller. Seguì un divorzio messicano, voci di suicidio tentato da Marilyn. Nei mesi successivi, fu ricoverata due volte in ospedale psichiatrico. All’uscita, dovette affrontare la sfida della stampa.
John Huston