Corriere della Seram 31 agosto 2007, 9 agosto 2014
Tags : Arthur Miller
La storia del figlio down
Corriere della Seram 31 agosto 2007
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK – Durante la «caccia alle streghe» del maccartismo Arthur Miller fu tra i pochissimi a rifiutarsi di «fare nomi». Più tardi fu tra i primi a scagliarsi contro la guerra del Vietnam e in oltre 60 anni di carriera si è sempre distinto come una delle voci più alte e coraggiose contro i soprusi e le ingiustizie di ogni sorta.
Ma nella vita privata lo scrittore passato alla storia come uno dei giganti del ’900 era un uomo crudele e meschino che fece rinchiudere alla nascita un figlio down, Daniel, oggi 41enne, (avuto dalla terza moglie Inge Morath, sposata dopo il divorzio da Marilyn Monroe) di cui cancellò l’esistenza fino alla morte.
Lo scandalo ha letteralmente messo a soqquadro il mondo culturale americano. Il New York Times lo paragona addirittura all’«affare Günter Grass», lo stimato scrittore tedesco, vincitore del premio Nobel nel 1999, di cui solo recentemente è emerso il passato filonazista.
A riesumare l’ultimo dramma postumo del commediografo de Il crogiuolo è un lungo articolo pubblicato dal mensile Vanity Fair e rilanciato dal New York Times, che rivela al mondo un segreto fino ad oggi noto solo a una ristretta cerchia di amici, parenti e profondi conoscitori della letteratura e della vita dei suoi protagonisti.
Quando lo scrittore morì, nel febbraio 2005, Daniel fu l’unico Miller assente al suo funerale, dietro suo ordine. «Durante la cerimonia funebre, nessuno osò menzionare la sua esistenza, per rispettarne il volere» scrive Vanity Fair che parla di vera e propria «congiura del silenzio» durata quattro decenni. In centinaia tra interviste, lavori e discorsi pubblici, non una sola volta Miller ha riconosciuto l’esistenza del suo quartogenito che tanto gli somiglia, a detta dei pochi che sono riusciti ad incontrarlo. Nel 2002, alla morte della moglie, fu lui a ordinare al New York Times
di eliminare ogni riferimento a Daniel dal necrologio. Persino la sua data di nascita resta un mistero. Il 1962, secondo il biografo dello scrittore, Martin Gottfried; il 1996, a detta degli amici. Miller aveva più di 50 anni e aveva già pubblicato il suo capolavoro, Morte di un commesso viaggiatore.
Sulle prime sia lui sia la moglie, una fotografa austriaca allieva di Henri Cartier-Bresson, erano al settimo cielo. Ma l’indomani Miller chiamò l’amico Robert Whitehead, producer di Broadway, in preda al panico. « È down, non me la sento di tenerlo» gli confidò sconvolto. La madre avrebbe voluto invece tenere il bimbo con sé ma lui non glielo permise, «sarebbe stato difficile per Rebecca, la sorellina maggiore, e per l’intera famiglia» spiega un altro amico, che chiede di rimanere anonimo. Nel giro di un paio di giorni, Daniel viene rinchiuso in un istituto per neonati disabili. Al terzo anno d’età è trasferito alla Southbury Training School in Connecticut: «Una casa degli orrori dove non manderei il mio cane» la definisce Marcie Roth, direttrice della National Spinal Cord Injury Association ed ex impiegata all’istituto per giovani down dove all’epoca si usavano ancora le camicie di forza.
Mentre Inge visita il figlio puntualmente tutte le domeniche, Miller si rifiuta di accompagnarla. Il suo atteggiamento provocherà poi non pochi dissapori con il genero, l’attore inglese Daniel Day-Lewis, marito di Rebecca. «Era esterrefatto che potesse comportarsi in modo tanto crudele» spiega l’amica Francine du Plessix Gray, «Day-Lewis si mostrò più compassionevole di tutti verso Daniel».
Padre e figlio si incontrarono per la prima volta in pubblico nel 1995, a una conferenza dove Daniel era stato invitato come portavoce di People First, un’organizzazione di handicappati. «Miller rimase di stucco quando il figlio gli corse incontro e lo abbracciò» rievoca un testimone. Fu allora che lo scrittore scoprì, per la prima volta, che Daniel era non solo indipendente, articolato e con un rispettabilissimo lavoro, ma che era ammirato e amato da tutti quelli che avevano avuto a che fare con lui.
La loro vicenda è diventata di dominio pubblico solo adesso, dopo che lo scrittore lo ha incluso nel suo testamento. Mosso da laceranti complessi di colpa, Miller ha diviso in quattro parti uguali la sua eredità, assegnandone una a Daniel. Ma anche questo gesto tardivo, ironicamente, finirà per danneggiarlo. «Non ha ascoltato i suoi legali che lo consigliavano di versare i soldi di Daniel in uno speciale trust fund protetto – scrive Vanity Fair – così lo stato del Connecticut, che per anni ha assistito gratuitamente il ragazzo come se fosse povero, è andato a cercarlo per ottenere un risarcimento che per legge gli spetta».
All’indomani dello scandalo l’America si interroga sui motivi che hanno spinto questo gigante della letteratura a comportarsi in maniera tanto spregevole. «Nella sua autobiografia Timebends - Svolte, Miller sembra pervaso di sensi di colpa – teorizza Vanity Fair: quando parla della solitudine del padre, abbandonato dai genitori e di quella di Marilyn Monroe, orfana».
Ma quel figlio mai accettato ha finito comunque per influenzare la sua vita: «Dopo la sua nascita la sua vena letteraria si è prosciugata» scrive la rivista. «E c’è da chiedersi se Miller non abbia buttato inconsapevolmente via il suo dramma più grande. Mai scritto».
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK – Durante la «caccia alle streghe» del maccartismo Arthur Miller fu tra i pochissimi a rifiutarsi di «fare nomi». Più tardi fu tra i primi a scagliarsi contro la guerra del Vietnam e in oltre 60 anni di carriera si è sempre distinto come una delle voci più alte e coraggiose contro i soprusi e le ingiustizie di ogni sorta.
Ma nella vita privata lo scrittore passato alla storia come uno dei giganti del ’900 era un uomo crudele e meschino che fece rinchiudere alla nascita un figlio down, Daniel, oggi 41enne, (avuto dalla terza moglie Inge Morath, sposata dopo il divorzio da Marilyn Monroe) di cui cancellò l’esistenza fino alla morte.
Lo scandalo ha letteralmente messo a soqquadro il mondo culturale americano. Il New York Times lo paragona addirittura all’«affare Günter Grass», lo stimato scrittore tedesco, vincitore del premio Nobel nel 1999, di cui solo recentemente è emerso il passato filonazista.
A riesumare l’ultimo dramma postumo del commediografo de Il crogiuolo è un lungo articolo pubblicato dal mensile Vanity Fair e rilanciato dal New York Times, che rivela al mondo un segreto fino ad oggi noto solo a una ristretta cerchia di amici, parenti e profondi conoscitori della letteratura e della vita dei suoi protagonisti.
Quando lo scrittore morì, nel febbraio 2005, Daniel fu l’unico Miller assente al suo funerale, dietro suo ordine. «Durante la cerimonia funebre, nessuno osò menzionare la sua esistenza, per rispettarne il volere» scrive Vanity Fair che parla di vera e propria «congiura del silenzio» durata quattro decenni. In centinaia tra interviste, lavori e discorsi pubblici, non una sola volta Miller ha riconosciuto l’esistenza del suo quartogenito che tanto gli somiglia, a detta dei pochi che sono riusciti ad incontrarlo. Nel 2002, alla morte della moglie, fu lui a ordinare al New York Times
di eliminare ogni riferimento a Daniel dal necrologio. Persino la sua data di nascita resta un mistero. Il 1962, secondo il biografo dello scrittore, Martin Gottfried; il 1996, a detta degli amici. Miller aveva più di 50 anni e aveva già pubblicato il suo capolavoro, Morte di un commesso viaggiatore.
Sulle prime sia lui sia la moglie, una fotografa austriaca allieva di Henri Cartier-Bresson, erano al settimo cielo. Ma l’indomani Miller chiamò l’amico Robert Whitehead, producer di Broadway, in preda al panico. « È down, non me la sento di tenerlo» gli confidò sconvolto. La madre avrebbe voluto invece tenere il bimbo con sé ma lui non glielo permise, «sarebbe stato difficile per Rebecca, la sorellina maggiore, e per l’intera famiglia» spiega un altro amico, che chiede di rimanere anonimo. Nel giro di un paio di giorni, Daniel viene rinchiuso in un istituto per neonati disabili. Al terzo anno d’età è trasferito alla Southbury Training School in Connecticut: «Una casa degli orrori dove non manderei il mio cane» la definisce Marcie Roth, direttrice della National Spinal Cord Injury Association ed ex impiegata all’istituto per giovani down dove all’epoca si usavano ancora le camicie di forza.
Mentre Inge visita il figlio puntualmente tutte le domeniche, Miller si rifiuta di accompagnarla. Il suo atteggiamento provocherà poi non pochi dissapori con il genero, l’attore inglese Daniel Day-Lewis, marito di Rebecca. «Era esterrefatto che potesse comportarsi in modo tanto crudele» spiega l’amica Francine du Plessix Gray, «Day-Lewis si mostrò più compassionevole di tutti verso Daniel».
Padre e figlio si incontrarono per la prima volta in pubblico nel 1995, a una conferenza dove Daniel era stato invitato come portavoce di People First, un’organizzazione di handicappati. «Miller rimase di stucco quando il figlio gli corse incontro e lo abbracciò» rievoca un testimone. Fu allora che lo scrittore scoprì, per la prima volta, che Daniel era non solo indipendente, articolato e con un rispettabilissimo lavoro, ma che era ammirato e amato da tutti quelli che avevano avuto a che fare con lui.
La loro vicenda è diventata di dominio pubblico solo adesso, dopo che lo scrittore lo ha incluso nel suo testamento. Mosso da laceranti complessi di colpa, Miller ha diviso in quattro parti uguali la sua eredità, assegnandone una a Daniel. Ma anche questo gesto tardivo, ironicamente, finirà per danneggiarlo. «Non ha ascoltato i suoi legali che lo consigliavano di versare i soldi di Daniel in uno speciale trust fund protetto – scrive Vanity Fair – così lo stato del Connecticut, che per anni ha assistito gratuitamente il ragazzo come se fosse povero, è andato a cercarlo per ottenere un risarcimento che per legge gli spetta».
All’indomani dello scandalo l’America si interroga sui motivi che hanno spinto questo gigante della letteratura a comportarsi in maniera tanto spregevole. «Nella sua autobiografia Timebends - Svolte, Miller sembra pervaso di sensi di colpa – teorizza Vanity Fair: quando parla della solitudine del padre, abbandonato dai genitori e di quella di Marilyn Monroe, orfana».
Ma quel figlio mai accettato ha finito comunque per influenzare la sua vita: «Dopo la sua nascita la sua vena letteraria si è prosciugata» scrive la rivista. «E c’è da chiedersi se Miller non abbia buttato inconsapevolmente via il suo dramma più grande. Mai scritto».
Alessandra Farkas