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 2014  agosto 04 Lunedì calendario

Il funerali di Lucio Liggio (articolo del 18/11/1993)

Corriere della Sera, giovedì 18 novembre 1993
Dove sono i cavalli bardati che trainano la carrozza dagli ottoni lucidi? E la banda del paese che intona il requiem, i parenti con gli abiti buoni, i notabili con i capelli stirati dalla brillantina, il paese che abbassa le saracinesche un po’ per pietà , un po’ per rispetto? Niente di tutto questo. Morte di un padrino, anno ’93. Muta la scenografia per Luciano Liggio, sepolto alle quattro di un pomeriggio gelido senza un parente e senza un prete. In mezzo ai poliziotti. Con i fotografi appollaiati sul caseggiato dei loculi. E le parabole delle teledirette sui camion del circo televisivo che, per un giorno, ha piantato le tende attorno al cimitero di Corleone, ultima dimora del re dei corleonesi, condannato a una fine ingloriosa dai tempi che cambiano pure qui e dal questore, deciso a vietare funerali, corteo, messe, omelie e orazioni. Fra i cipressi smunti manca perfino il cugino prete, don Girolamo Liggio, chiuso nella canonica di Santa Rosalia, la chiesa dove avrebbero voluto pregare per l’anima di Lucianeddu: «Non è umano impedire una preghiera, privare un cristiano del funerale...». Al cimitero, nella casetta del custode, si rifugia solo la sorella Carmela con due cugini e ci resta, senza assistere all’opera degli operai che con tre giri di corda calano la bara nella modesta tomba di granito rosso dove, nel ’67, era stato seppellito un altro fratello, Girolamo. A pochi passi, la gentilizia di Michele Navarra, il capomafia ucciso da Liggio che ne prese il posto tenendo a bada sindacalisti come Placido Rizzotto, assassinato e sbeffeggiato dal padrino, pronto a prendersi anche la sua donna, Leoluchina Soresi, rimasta a Genova dove s’è sposata e non vuol sentirne più di Corleone. Pure l’ultimo dei fratelli, Carmelo, è rimasto a casa insieme con la sorella Maria Antonina, irritata dal divieto, decisa all’annuncio e alla minaccia di una mostra permanente dei quadri di Liggio, un nome che dovrà riecheggiare ancora con una associazione sui diritti dei detenuti. È l’ultimo duello che fa da sfondo a un ritorno solitario, con la bara di Liggio che scivola sui carrelli di Punta Raisi alle 13.30 avvolta in un drappo blu. Anche qui, fotografi e cronisti, senza parenti. Solo due mazzi di fiori anonimi e un cuscino di gladioli. Per carro una vecchia Mercedes blu targata Ragusa. L’autista e suo figlio fanno tutto da soli. Si parte, seguendo due jeep della polizia che s’arrampicano per Montelepre, il regno di Giuliano, passando poi per San Giuseppe Jato con le case dove Totò Riina s’è nascosto a lungo. Quando il corteo supera l’ultimo curvone e compare il segnale "Corleone", su una Panda argentata s’intravede la figura di una donna appesantita e tanti la indicano come Lucia Parenzan, la compagna di Liggio a Milano. C’è anche Paolo, il figlio diciottenne? Sono ombre. Un attimo sul cancello. E via. Sfrecciano per un istante anche i figli di Riina su una Enduro. Il più piccolo, seduto dietro, con le mani nasconde ai fotografi il viso del fratello, Giovanni, che accelera e fugge sotto gli occhi di pochi vecchi e di un ragazzotto irrequieto. «Rompigli la macchina», grida a una signora che si allontana con un bimbo in braccio negandosi ai flash. E lei, bella, capelli cortissimi, elegante, nessuna inflessione dialettale, rimprovera il giovanotto: «Zitto, non sta bene dire questo». Poi guarda i cronisti: «Ho sposato il figlio di un cugino di Liggio. Ho un negozietto qui, mi chiamo Antonietta Sanzio. Volete il mio parere? Le persone che si sono uccise per Tangentopoli hanno avuto il funerale...». Solo un pensionato, avvolto in un cappotto grigio, si dichiara “lontano parente” e accompagna la bara fino alla tomba. Ma quando si ritrova davanti alla sepoltura si scopre che è un nipote della Soresi, “la fidanzata di Genova”, come la chiama lui: «Volevo vedere la fine di questa storia che ho vissuto quand’ero ragazzo... Sapete chi tradì Lucianeddu? Un altro nipote di Leoluchina. Uno che faceva finta di essere sindacalista e amico di Rizzotto mentre s’inchinava a Liggio. Alla fine, fu lui a tradirlo, a portare i carabinieri da mia zia. Su questi personaggi doppi è scritta la storia di Corleone...». Una storia che la mostra e l’associazione rischia di prolungare. Il fantasma del padrino pesa più che da vivo, a tre giorni dalle elezioni? Dei quattro candidati a sindaco tutti si dichiarano antimafiosi. Compreso l’unico tacciato di guidare una lista “cianciminiana”, Franco Rizzotto, che per questo ieri ha presentato querela contro tre giornali, ignaro del miracolo: a Corleone l’aggettivo "cianciminiano" diventa un’offesa. Siamo al dopo Liggio. Per la conferma, appuntamento a sabato, al liceo Baccelli, come dice il preside annunciando «un’ora di antimafia in ogni classe».

Felice Cavallaro