La Gazzetta dello Sport, 30 giugno 2011
Ieri ad Atene è stata una giornata di scontri: il Parlamento doveva approvare – e ha poi approvato - la prima tranche delle misure di austerità che l’Europa pretende per erogare un altro prestito da 110 miliardi
Ieri ad Atene è stata una giornata di scontri: il Parlamento doveva approvare – e ha poi approvato - la prima tranche delle misure di austerità che l’Europa pretende per erogare un altro prestito da 110 miliardi. Ma, mentre i deputati votavano, 400 manifestanti hanno tentato di irrompere in piazza Syntagma, dove ha sede il governo. Altri si son provati ad impedire l’ingresso in Parlamento ai deputati, fatti bersaglio di un nutrito lancio di molotov e oggetti (tra cui pietre e pezzi delle barriere di metallo che proteggevano la zona; un parlamentare è finito all’ospedale per via di un vasetto di yogurt in fronte). La polizia ha risposto a manganellate, fumogeni e spray urticante. S’è sentito qualche colpo d’arma da fuoco e all’interno del ministero delle Finanze è scoppiato un incendio.
• In che consistono queste misure di austerità? Glielo domando anche perché faccio mentalmente il paragone con i 47 miliardi che dovremo pagare noi.
Ieri sono stati votati tagli per 28 miliardi. Tenga conto che le pensioni e gli stipendi degli statali (un greco su tre è dipendente pubblico) sono già stati tagliati. Adesso si toglieranno 4,45 miliardi al welfare, altri due miliardi agli stipendi pubblici, un miliardo alla Sanità, un miliardo e due alla Difesa e il resto verrà da aumenti delle tasse e lotta all’evasione. Oggi il Parlamento greco voterà dismissioni di patrimonio pubblico, comprese le infrastrutture, cioè i porti, le autostrade e gli scali aeroportuali. Qualcuno ha scritto che a un certo punto potrebbe essere venduto il Partenone o qualche isola dove andiamo in vacanza. Non è escluso, ma non è detto che sarebbe una soluzione.
• Perché?
Le banche creditrici potrebbero anche accettare l’idea di rifinanziare la Grecia quando i loro bond verranno a scadenza. Però con delle garanzie: se la Grecia vende tutto il vendibile, non avrà niente da offrire. Vendendo pezzi di patrimonio diminuirà l’indebitamento netto? Sembrerebbe di no.
• Quanto dovrebbe incassare dando via aziende pubbliche o porti?
L’impegno è di portare in cassa 50 miliardi. È una cifra che sarà dichiarata in Parlamento e fintamente creduta dalle dai giornali e dai governi del mondo. Gli analisti dicono che è irrealistica: se la Grecia, vendendo i suoi gioielli, riuscirà a portare a casa 15 miliardi sarà un miracolo. Questo significa che stiamo solo rimandando il fallimento di quel Paese, in attesa di tempi in cui l’Europa sarà abbastanza forte per sopportare il disastro. Il problema è se questi tempi arriveranno mai. I tassi che vengono applicati ai titoli greci dicono che il mercato crede al default, con una probabilità dell’80 per cento. Che cosa significhi il default di un paese inserito in un sistema monetario come l’Eurozona non lo sa nessuno. Luciano Gallino dice che è assurdo farsi mettere in crisi da un paese il cui Pil rappresenta il 3,7% del Pil dell’area euro. E insiste su questo punto: non sono le spese sociali troppo alte ad aver messo in crisi la Grecia, ma il tasso enorme di evasione fiscale. Tra l’altro, la pretesa di colpire adesso yacht, ville eccetera è abbastanza risibile: i capitalisti greci da tempo hanno portato all’estero i loro soldi e intestato le proprietà immobiliari a trust con sede nei paradisi fiscali.
• Che ragionamenti si possono fare se si paragonano i nostri 47 miliardi e i loro 28 o 78?
Per il momento non sono numeri paragonabili. Tremonti s’è persino permesso di spostare il grosso della nostra manovra al biennio 2013-2014. Gli stipendi degli statali italiani, benché bloccati, non sono comunque stati tagliati. L’Iva in Grecia è già aumentata di un paio di punti, mentre da noi il punto che vorrebbe caricare Tremonti è ancora in forse. Il loro debito è più alto del nostro, in proporzione. Hanno solo dieci milioni di abitanti.
• Questo significa che possiamo stare tranquilli?
Non tranquillissimi, però, benché Bossi e Berlusconi premano per riformare il fisco. Abbiamo già dato conto ieri di qualche inquietudine, percepibile nel differenziale tra i nostri Btp e i Bund tedeschi e dalla caduta dei titoli bancari (ieri però Milano è andata forte). Edward Altman, professore di finanza alla Stern School of Business dell’Università di New York, sostiene che l’ultima battaglia per l’euro sarà combattuta proprio in Italia. Questo studioso ha elaborato un indice della probabilità di default, da applicarsi sia ai paesi che alle aziende. Mentre nel resto dell’Eurozona le aziende hanno una probabilità di fallire del 3.4%, in Italia ce l’hanno dell’8 (in Grecia del 15-16, in Portogallo e Spagna dell’11-12). Sua conclusione: «Tutti pensano che il prossimo paese ad andare in crisi sia la Spagna. Ma l’Italia, che ha una bassa crescita, problemi politici e popolazione anziana, può dare problemi molto prima».