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 2014  febbraio 14 Venerdì calendario

Biografia di Riccardo Ruggeri

• Torino 6 dicembre 1934. Manager. Editore. Della Grantorino Libri. Giornalista, tiene una rubrica su ItaliaOggi.
• «Ha a iniziato a lavorare come operaio alla Fiat Mirafiori, studiando di sera. Poi, per oltre vent’anni, è stato amministratore delegato di aziende industriali in Italia, nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Dopo l’avventura in Fiat si è dedicato alla consulenza internazionale di business; oggi è imprenditore nel campo delle assicurazioni e dell’alta moda. Ha pubblicato libri di management, alcuni adottati in università italiane e americane, e un romanzo (La seduzione del potere), ambientato nelle stanze dei bottoni delle grandi holding» (S24 6/9/2009).
• «L’umida portineria di Torino in cui venne al mondo Riccardo Ruggeri, al numero 9 di piazza Vittorio Veneto, misurava 15 metri quadrati. Il lavandino con l’acqua corrente e il gabinetto erano in cortile. All’ingresso un tavolino con sopra un vaso, dentro il quale la portinaia Maria Caterina, la nonna di Ruggeri, sistemava con amorosa simmetria i fiori appassiti scartati dal conte Prato Previde, proprietario del palazzo. Oltre il paravento, le brandine pieghevoli che venivano aperte solo per la notte. Ci dormivano Carlo, operaio alla Fiat, figlio della portinaia, e sua moglie Brunilde, che sarebbe diventata a sua volta operaia alla Fiat dopo la prematura morte del marito: i genitori di Ruggeri. Oltre il tramezzo, la camera di nonno Giovanni, operaio alla Fiat, e di nonna Maria Caterina, che ben volentieri cedettero il loro letto matrimoniale alla nuora affinché il 6 dicembre 1934 potesse partorirvi Riccardo. Anche Riccardo Ruggeri è stato operaio alla Fiat. Era il 1953 quando fu assunto nello stabilimento di Mirafiori. Solo che poi ha fatto carriera, fino a lavorare con Gianni e Umberto Agnelli. Ha conosciuto il mitico presidente Vittorio Valletta e l’ingegner Dante Giacosa, il progettista della 500 e della 600. Ha collaborato con Carlo De Benedetti e Cesare Romiti. Ha negoziato con Muammar Gheddafi e Saddam Hussein. Ha ritirato il Queen’s Award dalle mani della regina Elisabetta d’Inghilterra. Ha consegnato medaglia e pergamena a suo figlio Carlo, principe di Galles, dopo una finale di polo. Ha trascorso piacevoli pomeriggi a Windsor con il principe Filippo, Lady Diana e Camilla Parker Bowles. Ha sollecitato l’ingegner Enzo Ferrari a pagargli certe fatture per le vernici rosse dei bolidi di Maranello che erano rimaste inevase, ricevendone in cambio un vaticinio: “Lei è destinato a fare una grande carriera, in Fiat o altrove”. Ha avuto l’onore d’essere uno dei cinque non americani insigniti della laurea honoris causa in legge nei 140 anni di storia della Loyola University di Chicago. Ha fatto qualcosa di più, l’operaio Ruggeri Riccardo, fu Carlo, tornitore nell’officina 5 di Mirafiori, nominato prima impiegato, poi dirigente, quindi amministratore delegato di varie società, infine componente del comitato direttivo di Fiat holding, il sancta sanctorum presieduto dall’Avvocato dove venivano prese le decisioni strategiche del gruppo: nella sua veste di chef executive officer della New Holland, ha macinato utili su utili e mantenuto a galla l’intera baracca. Ruggeri è stato il Sergio Marchionne degli anni Novanta. Ha fatto con i trattori quello che il manager italo-canadese sta tentando di fare con l’auto. Nel 1991 ha fuso insieme due rami d’azienda virtualmente falliti: da una parte Fiat trattori e Fiatallis, dall’altra Ford tractors. Un’operazione complessa quanto quella che Marchionne ha condotto su Fiat auto e Chrysler, perché ne è nato un colosso, New Holland appunto, con 33.000 dipendenti e 21 stabilimenti in quattro continenti, presente con le sue macchine per movimento terra (trattori, mietitrebbie, escavatori) in 140 Paesi del mondo, contro le 48 nazioni in cui sono attualmente vendute le auto del marchio torinese. Quando l’ex operaio si lanciò in quest’avventura, New Holland fatturava 2,5 miliardi di dollari. Trascorsi cinque anni, l’aveva portata a 6 miliardi con la metà dei dipendenti. Al cambio dell’epoca, fanno quasi 10.000 miliardi di lire. Oggi fattura 12 miliardi di dollari. Il coronamento del piano di salvataggio fu la quotazione a Wall Street, dove New Holland fu valutata 32 volte il patrimonio netto iniziale. Ma a Ruggeri negarono la gioia di suonare la campanella nel primo giorno di contrattazioni del titolo alla Borsa di New York. A ridosso del lieto evento, da Torino arrivò nel suo ufficio di Londra un altissimo funzionario. “Mi notificò che, avendo 61 anni compiuti, dovevo andarmene in pensione”. L’anonimo collega incaricato di dargli il benservito di anni ne aveva 67. Ruggeri si limitò a fargli presente che forse i gerontocrati di corso Marconi avrebbero dovuto se non altro affidare per delicatezza l’ambasciata a un missus dominicus meno attempato. Riccardo Ruggeri non ha mai recriminato. Chiusa l’esperienza di una vita, ha intrapreso varie attività. Ha creato con nuora e figlio un’industria di moda d’avanguardia che ha lanciato a livello planetario un visionario stilista scoperto in California, Rick Owens, oggi celebre per la sua maison di Parigi. Ha scritto tre libri in due anni: Parola di Marchionne, uscito nel marzo 2010, anticipava molte delle domande che avrebbero intasato le prime pagine dei quotidiani nei mesi successivi. Ha fondato una casa editrice, battezzata Grantorino in omaggio alla squadra del Toro di Valentino Mazzola e al modello di auto idolatrato da Clint Eastwood nell’omonimo film. Accollandosi i costi vivi per produrre i libri, Ruggeri devolve i ricavi a un’organizzazione cristiana creata da Pierre Tami, un ex pilota della Swissair che ha tolto dalla strada 3.000 prostitute e le ha trasformate in operaie nella più importante azienda di catering della Cambogia. Però gli leggi negli occhi che la Fiat resta il suo grande amore, anche se ne è fuori da 15 anni. E infatti ci ha investito come azionista. “Nella testa sono rimasto quello che ero: un operaio. Niente fumo, niente droghe, niente superalcolici. Mai stato sul lettino dell’analista. Mai frequentato centri benessere, anche perché non possiedo un accappatoio. Per muovermi in città uso le gambe o i taxi. Amo la stessa donna, Lilli, da 50 anni: a maggio festeggeremo le nozze d’oro. Ho due figli, Luca (…) e Fabio, (…) anche loro con una moglie sola, e quattro nipotini che adoro. Non vedo i talk show politico-gossipari in tv. Come ogni euroamericano di buonsenso, voto di volta in volta per il meno peggio. È già tanto che non sia diventato comunista»”. (…) “Mio nonno lo era. Gli amici lo chiamavano Stalin. Nel portafoglio, che usava solo la domenica, teneva un santino di Baffone in alta uniforme. Mi ripeteva fino alla noia che Stalin in russo significa acciaio e non a caso lui alle Ferriere Fiat era addetto all’altoforno 5, quello degli acciai speciali. Nel 1962 investii i miei pochi risparmi in uno dei primi viaggi turistici a Mosca. Ero curioso di capire se aveva ragione il nonno, che considerava l’Urss il paradiso in terra, oppure mio padre, che da buon socialista definiva nazicomunismo la dittatura sovietica del proletariato. Entrambi erano morti nel 1947 e non si erano mai mossi da Torino. Viaggiai su uno scassato quadrimotore Ilyushin. Mi ci volle poco per capire che aveva ragione mio padre”. E la mamma? “Era di Aulla, provincia di Massa e Carrara, dove pianti fagioli e crescono anarchici. Quindi anarchica. Invece mia nonna stravedeva per don Luigi Sturzo. Eravamo tutti antifascisti, ma soprattutto ci volevamo bene. È sempre stata questa la mia forza. (…)» (Stefano Lorenzetto) [Grn 6/2/2011].
• «L’attività da editore è minimale, per cui dedico il mio tempo a fare il giornalista, i miei pezzi (camei) ogni anno vengono raccolti in un libro, edito da Grantorino Libri, ed io vado dove mi invitano per presentarlo e venderne le copie. (…) Il giornalismo mi ha cambiato la vita, devo ammetterlo. Il mio mondo, quello con cui mi sono confrontato per trent’anni era quello degli operai, dei sindacalisti, dei manager, degli azionisti, dei consigli di amministrazione. (…) Mi ha avvicinato ai problemi dei lettori, quindi dei cittadini, e ciò mi ha fatto ancora più amare l’Italia» (a Goffredo Pistelli) [Iog 1/11/2013].