12 febbraio 2014
Tags : Francesco Saverio Romano
Biografia di Francesco Saverio Romano
• Palermo 24 dicembre 1964. Politico. Nel 2001, 2006, 2008 e 2013 eletto alla Camera (Udc, gruppo misto, Pdl). Già sottosegretario al Lavoro nel Berlusconi III, dal 23 marzo al 16 novembre 2011 ministro dell’Agricoltura.
• «Il vice Cuffaro del gruppo siciliano del partito, tessere e voti a go-gò» (Antonello Caporale) [Rep 20/9/2010].
• «Lo chiamano “mister centomila preferenze” per essere stato il più votato alle Europee (...) ha sfidato Casini davanti a tutto il partito, dicendo che “la Sicilia non accetterà mai” un accordo con Bersani. Ha bocciato il terzo polo e criticato la linea del leader sulla giustizia. (...) “Sulla mia tomba sarà scritto ‘Non cambiò bandiera’”» (Monica Guerzoni) [Cds 13/9/2010].
• Già indagato dalla Procura di Palermo nel 2003 per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione (posizione poi archiviata nel 2005), nel 2009 viene iscritto nel registro degli indagati in seguito alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, che dice di avergli pagato tangenti per 50 mila euro. Con lui vengono accusati anche Totò Cuffaro e Salvatore Cintola dell’Udc e Carlo Vizzini del Pdl. Nel luglio 2011 il gip avanza la richiesta di imputazione coatta e Romano viene rinviato a giudizio: «Per i pm che hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio, il ministro Romano avrebbe nel tempo sostenuto Cosa nostra e avuto rapporti diretti o mediati con diversi elementi di spicco dell’associazione mafiosa. “Nella sua veste di esponente politico di spicco, prima della Dc e poi del Ccd e Cdu e, dopo il 13 maggio 2001, di parlamentare nazionale – scrivono i magistrati – Romano avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell’associazione mafiosa, intrattenendo, anche alla fine dell’acquisizione del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell’organizzazione tra i quali Angelo Siino, Giuseppe Guttadauro, Domenico Miceli, Antonino Mandalà e Francesco Campanella”. Secondo i pm, inoltre, il ministro avrebbe “messo a disposizione di Cosa nostra il proprio ruolo, contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell’organizzazione tendente all’acquisizione di poteri di influenza sull’operato di organismi politici e amministrativi”» (Cds 13/7/2011). Qualche mese dopo, a settembre, il pentito Stefano Lo Verso, «ex vivandiere di Bernardo Provenzano», lancia altre accuse contro di lui: «Nell’appello della Procura di Palermo contro il proscioglimento di Totò Cuffaro dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa i pm hanno allegato i verbali del nuovo pentito pronto a chiamare in causa anche il ministro Romano. Entrambi gli uomini politici avrebbero avuto infatti, secondo il collaboratore, “rapporti illeciti” con la cosca mafiosa di Villabate, guidata da Nicola e Nino Mandalà» (Rep 19/9/2011). Nel luglio del 2012 la procura di Palermo chiede la condanna a otto anni di reclusione per concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Il processo si svolge con rito abbreviato. Il 17 luglio Romano è assolto: «Il Gup ha applicato la formula del secondo comma dell’articolo 530 del codice di procedura penale, che prevede l’assoluzione quando la prova manca, è incerta o contraddittoria» (Rep 17/7/2012). Il 10 aprile 2013 la sentenza è diventata definitiva perché nessun pm l’ha impugnata.
• «Questo avvocato penalista siciliano con le inchieste giudiziarie si è sempre confrontato, nella sua lunga carriera politica. Se non altro per aver vissuto, sin dagli anni ’80, all’ombra di due big della Dc siciliana: Calogero Mannino, che fu un potente ministro proprio dell’Agricoltura, e l’ex governatore Salvatore “Totò” Cuffaro. Il primo entrato e uscito solo alla fine del 2008 da un lunghissimo processo per concorso esterno. Il secondo condannato definitivamente per favoreggiamento a Cosa nostra a fine gennaio (2011), e ora in carcere a Rebibbia per scontare una pena di sette anni. Le incredibili svolte degli ex Udc che hanno dominato la politica siciliana negli ultimi decenni, prima dell’ascesa di Raffaele Lombardo, l’amico “traditore” che nell’Isola ha deciso di governare con il Pd. Cuffaro in cella, Romano ministro. Tutto nel giro di 60 giorni. L’effetto finale di una scelta, quella di lasciare il partito di Casini e fondare il Pid, che nel settembre scorso (2010) ha posto le premesse per la fondazione alla Camera del gruppo-stampella dei Responsabili. E ha trasformato l’avvocato col mito di Sturzo, nato (…) alla vigilia di Natale, da colonnello in generale. Il traguardo di un percorso cominciato nella sua Belmonte Mezzagno, comune del Palermitano amministrato oggi dallo zio Saverio Barrale, per il quale il Viminale ha avviato le procedure di scioglimento per infiltrazioni mafiose. La tappa conclusiva di un viaggio iniziato nel 1985 nel cda dell’opera universitaria di Palermo e nel movimento giovanile della Dc, di cui Romano fu segretario. E dove mosse i primi passi anche il Guardasigilli agrigentino Angelino Alfano. Nel 1990 Romano fu eletto nel consiglio provinciale di Palermo, per poi ricoprire dal ’93 al ’94 la carica di assessore alla Viabilità. Dal ’97 al 2001 l’incarico pesante di presidente dell’Ircac, l’ente creditizio della Regione siciliana. Con la benedizione di Cuffaro, of course. E quando Totò, nel 2001 dei portenti per il centrodestra siciliano (fu l’anno del 61 a 0), divenne governatore a furor di popolo, Saverio Romano sbarcò in parlamento. Componente delle commissioni Giustizia, Bilancio, Cultura, Trasporti e Vigilanza sulla cassa depositi e prestiti. Quindi sottosegretario al Lavoro, nel terzo governo Berlusconi: posto ideale per un ex Dc che conosce l’arte della conquista del consenso. Risale a quel periodo il progetto Inla, che alla vigilia di nuove elezioni, quelle del 2006, garantì a 1.800 disoccupati siciliani un tirocinio nelle aziende pagato da Stato e Regione. Nel luglio del 2006 la nomina a segretario regionale dell’Udc di Cuffaro: nei fatti, il capo del partito di governo in Sicilia, il braccio operativo di Totò e uno degli sherpa di una maggioranza dai numeri bulgari che si reggeva sull’asse Cuffaro-Alfano-Schifani. La prima condanna dell’ex governatore, nel gennaio del 2008, lo rende di fatto erede del suo patrimonio politico. Romano è abile nel tenere in piedi il partito in un momento difficile, proponendosi con successo pure alle Europee del 2009: 110 mila voti, seggio conquistato e ceduto al primo dei non eletti. Un’ascesa accompagnata da guai giudiziari che restano sullo sfondo, oscurati da quelli più gravi che affliggono Cuffaro. L’indagine per concorso esterno in associazione mafiosa nasce dalle dichiarazioni del pentito Francesco Campanella, secondo il quale Romano sarebbe stato votato e a disposizione dei boss di Villabate. Archiviata una prima volta nel 2005, era stata riaperta dalla Procura per il sorgere di nuovi elementi. Ma sul nuovo ministro pende un’altra indagine per corruzione aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra: ad accusarlo è Massimo Ciancimino (figlio di Vito, ex sindaco di Palermo in stretti rapporti con Provenzano) che dice di avergli pagato tangenti per 50 mila euro» (Emanuele Lauria) [Rep 23/3/2011].