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 2011  luglio 18 Lunedì calendario

Mercati e governo in bilico

• I mercati sono scettici sulla manovra italiana, benché il parlamento l’abbia approvata a tempo di record e nonostante il fatto che risulti più pesante di quella iniziale. Scetticismo anche sulle banche italiane, che in Borsa stanno precipitando, anche se l’esame internazionale a cui sono state sottoposte (“stress test”) dice che sono ben patrimonializzate. Mentre scriviamo Piazza Affari è sotto di un paio di punti, avendo lasciato un altro punto sul terreno sia giovedì 14 che venerdì 15. Il differenziale con i Bund tedeschi balla intorno ai 325 punti, ben più alto di una settimana fa. Vale quello che abbiamo già scritto nell’ultimo numero: se i nostri Btp, per essere acquistati, devono promettere un interesse di poco inferiore al 6%, la manovra da 47 miliardi risulterà quasi inutile, lo stato dei nostri conti pubblici dovrà essere rivisto un’altra volta. Il debito pubblico italiano ha intanto raggiunto un altro record: 1897,472 miliardi (maggio).

• Dopo il tonfo tremendo di lunedì 11 luglio (-3,96 in Borsa, differenziale Btp/Bund a 300), la giornata di martedì 12 s’è aperta sotto i peggiori auspici: dopo quattro minuti Piazza Affari stava sotto del 2%, in altri 12 minuti scendeva a -4%, mentre il differenziale schizzava a 330. Intorno alle 10 e mezza è intervenuta addirittura la Bce, comprando quello che gli altri vendevano e riportandoci rapidamente addirittura in territorio positivo. Lo spavento, però, era stato davvero grande. Tremonti si rimetteva al lavoro sulla manovra e l’opposizione dichiarava che non avrebbe fatto ostruzionismo e anzi si sarebbe adoperata per un varo velocissimo, benché le misure non fossero assolutamente di suo gradimento. E infatti, grazie anche agli appelli di Napolitano, giovedì sera arrivava il sì del Senato, e venerdì quello della Camera, tutt’e due le volte col voto di fiducia. Un record assoluto nella nostra storia, e non privo di qualche ulteriore singolarità. La più eclatante: la totale sparizione dalla scena del nostro primo ministro. Fino a venerdì 15 Berlusconi è rimasto chiuso nella sua casa in Sardegna, rifiutandosi a dichiarazioni o colloqui e cancellando tutti gli impegni, compreso un vertice con i Serbi per un trattato fra i due paesi che è stato rimandato per la terza volta. Per una conseguenza naturale, si sono di fatto messi a capo dell’esecutivo lo stesso Napolitano – sollecitando, avvertendo, moderando – e il ministro dell’Economia Tremonti, che si è fatto carico degli incontri con l’opposizione per accogliere al volo una serie di correttivi pretesi da Pd e Idv. Tremonti ha anche pronunciato discorsi in cui s’è parlato di “Titanic” (che s’inabissò senza risparmiare i più ricchi) e di Tito Livio: “hic manebimus optime”, e cioè non ci dimetteremo di sicuro. Voci di corridoio chissà quanto impazzite dicevano infatti che il premier, praticamente commissariato, progettava però di spostare Tremonti agli Esteri, Frattini alla Giustizia (al posto di Alfano nominato segretario) e mettere l’Economia in mano a Mario Monti o Bini Smaghi. Tutti progetti liquidati da Napolitano con l’aggettivo: «irresponabili».

• In tutto questo, si intrecciano le scommesse sulla durata di un governo che ha i numeri (316 sì al voto di fiducia di venerdì 15, un distacco di 32 voti all’opposizione) ma sembra privo di sostanza politica. Incombono i magistrati con relative richieste d’arresto: quella per l’on. Papa, sodale di Bisignani, quella per l’on. Milanese, braccio operativo di Tremonti, quella per il ministro Saverio Romano, accusato di collusione con la mafia dai giudici di Palermo e che proprio per questo Napolitano non avrebbe voluto al ministero dell’Agricoltura. Riapparso alle cose umane venerdì pomeriggio alla Camera, Berlusconi ha subito detto che bisogna votare no all’arresto di Papa, il primo in calendario. Ma intanto la Giunta per le autorizzazioni aveva già votato sì, con l’astensione leghista. E Bossi proprio quella mattina aveva riassunto le sue idee con due sole parole: «In galera!». Berlusconi lo ha prima persuaso a ripensarci, ma poi, domenica sera, Bossi ha ribadito che la Lega avrebbe votato sì all’arresto. Queste oscillazioni del Senatùr dicono tutto sul bilico in cui si trova la maggioranza: Maroni e i suoi sono sempre più in disaccordo col loro capo, che non si decidono a smentire pubblicamente. Il governo risulta, come da quasi un anno in qua, appeso a un filo. [Giorgio Dell’Arti, Vty 20/7/2011]