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 2011  luglio 11 Lunedì calendario

Eurozona, default Italia

• I mercati stanno attaccando l’Italia, fatta simile ormai alla Grecia, all’Irlanda e al Portogallo: i nostri titoli pubblici sono venduti massicciamente da giovedì 7 luglio, con perdite sulla piazza di Milano che venerdì 8 hanno sfiorato il 4%. Mentre scriviamo (mezzogiorno di lunedì) Piazza Affari sta perdendo l’1,5%, in un contesto in cui va giù tutta l’Europa. Il dato più preoccupante viene dal differenziale tra Bund tedeschi e buoni decennali del Tesoro (Btp) italiani: lunedì mattina questo differenziale ha raggiunto il suo massimo storico, 268 punti. Significa che l’Italia paga interessi sempre più alti sui suoi titoli, cioè sugli strumenti con cui raccoglie denaro sulla piazza nazionale e internazionale. Finora il costo di questa caduta si valuta in una ventina di miliardi, poco al di sotto dei tagli immediati previsti dalla manovra di Tremonti.

• Chi sta attaccando l’Italia e che cosa si intende esattamente con la parola “speculazione”? All’origine delle vendite massicce ci sarebbero banche e istituti americani, interessati ad arrostire l’euro e decisi perciò ad attaccare l’eurozona nei suoi punti più deboli. L’Italia sarebbe da questo punto di vista particolarmente interessante, perché la Ue – che non è riuscita ad aiutare in modo convincente un piccolo paese come la Grecia – non avrebbe la forza di salvare un paese come il nostro. La somma da sborsare per evitare un nostro default sarebbe prevedibilmente di 1.500-2.000 miliardi di euro, impossibile anche solo da immaginare. L’incaglio greco, che tanto ci fa soffrire, vale infatti appena 100-200 miliard, il debito di Atene è di soli 350 miliardi. Il nostro è di quasi 1.900. Vendendo massicciamente, e anche allo scoperto (una pratica che la Consob ha cercato di arginare con una serie di restrizioni decise domenica sera), gli americani possono ottenere uno di questi due risultati: Italia, Grecia, Portogallo e magari Spagna (il differenziale spagnolo è, questo lunedì, a quota 300) escono dall’Eurozona, secondo una procedura peraltro ignota, e provocano una forte rivalutazione dell’euro che avvantaggia sensibilmente il dollaro e le esportazioni americane; oppure, essendo impossibile difendere la periferia dell’area, l’euro salta del tutto, con conseguenze piuttosto inimmaginabili in generale, ma con probabile vantaggio della moneta concorrente, cioè il dollaro, che tornerebbe a dominare incontrastato sui mercati del mondo.

• Ma come mai le famose “mani forti” hanno individuato proprio nell’Italia il punto debole da attaccare? La risposta degli esperti è praticamente univoca: per via dell’alta litigiosità interna alla maggioranza, che rende il quadro politico generale molto incerto. Berlusconi, in un’intervista a Repubblica, ha attaccato Tremonti dicendo che non fa gioco di squadra, che considera tutti gli altri dei cretini, che rappresenta la sua serpe in seno. Tremonti, a sua volta, ha dato del cretino a Brunetta. E la sua manovra, nominalmente di addirittura 67-68 miliardi, ne garantisce però subito solo 25. I mercati, sapendo che per motivi elettorali il resto dei risparmi arriverà dal 2013, trae subito questa conclusione tremenda: quei tagli gli italiani non li faranno mai. Quindi le probabilità che il debito da 1900 miliardi a un certo punto sia restituito – magari in cent’anni – sono pari a zero. Finale del ragionamento americano: questa essendo la valutazione, conviene uscire il più presto possibile da quel sistema inaffidabile, liberandosi dei titoli del suo debito pubblico.

• Quello che è paradossale in questo quadro è che gli stessi americani – diciamo gli “attaccanti” – sono sull’orlo di una crisi epocale. Per legge gli Stati Uniti non possono indebitarsi oltre una certa cifra, che, negli anni scorsi, il Congresso ha di volta in volta elevato in modo da consentire gli interventi straordinari necessari a fronteggiare la crisi dei subprime. Questo tetto è adesso collocato a 14.300 miliardi di dollari, cifra che sarà raggiunta il prossimo 2 agosto. Il Congresso, dominato dai repubblicani, non intende procedere a un nuovo innalzamento del tetto e non è disponibile a un aumento delle tasse. Vuole invece che Obama tagli la spesa pubblica, e magari proprio il comparto sanità che il presidente, coerente con le promesse fatte in campagna elettorale, ha notevolmente appesantito. Le trattative tra democratici e repubblicani sono in corso, si profila un taglio di duemila miliardi nella spesa pubblica per ottenere in contropartita un aumento del tetto di indebitamento di altri duemila miliardi. Non c’è bisogno di essere esperti di economia per vedere che un ulteriore aumento del debito può forse rinviare la catastrofe, ma solo per renderla ancora più gigantesca. [Giorgio Dell’Arti, Vty 13/7/2011]