12 maggio 2013
Tags : Ilva
Sequestrati ai Riva otto miliardi
• La procura di Milano mette sotto sequestro 1,2 miliardi dei proprietari dell’Ilva, la famiglia Riva, accusata di truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni per aver tentato di scudare illegalmente attraverso otto trust esteri la gigantesca somma con un’operazione di riciclaggio. Secondo i pm Stefano Civardi e Francesco Greco, Emilio Riva, il capostipite della famiglia, già agli arresti domiciliari nella sua villa di Varese e il fratello Adriano, formalmente cittadino canadese, i fondi e i beni costituiti nei trust «costituiscono il provento di delitti di appropriazione indebita continuata e aggravata ai danni della Fire Finanziaria spa (una delle loro controllate), di truffa aggravata, di infedeltà patrimoniale e false comunicazioni sociali, oltre che di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e di trasferimento fraudolento di valori». Denaro drenato oltre che alla Fire (diventata poi Riva Fire) anche attraverso una cessione di partecipazione all’estero della stessa Ilva. [Colonnello, Sta]
• «“Abbiamo cercato in dodici città. Da Potenza a Milano. Abbiamo visitato 16 banche diverse, bloccato e aggredito depositi, titoli, partecipazioni societarie, immobili. Presto apriremo le cassette di sicurezza”». Ma più di un miliardo, per ora, non è venuto fuori. C’è però un punto, nell’ordinanza di sequestro, che mette a repentaglio tutta la fabbrica. I giudici hanno colpito i beni della società che possiede l’83% dell’Ilva, e che si chiama Riva Fire, «e in via residuale gli immobili dell’Ilva che non siano strettamente indispensabili all’esercizio dell’attività produttiva». Cioè, dicono i giudici: sequestriamo gli otto miliardi e cento milioni, prendendoci, se i contanti non bastano, gli immobili di Riva Fire, e se gli immobili di Riva Fire non bastano, prendiamoci i beni della stessa Ilva, purché non siano indispensabili alla produzione. Però il consiglio d’amministrazione dell’Ilva ha risposto che tutti gli immobili dell’Ilva sono necessari alla produzione e che l’ordinanza di sequestro mette di fatto la fabbrica nell’impossibilità di produrre. Sono seguite le dimissioni di tutti i consiglieri, compreso l’insospettabile Enrico Bondi, già risanatore di Parmalat e messo lì a fare l’amministratore delegato da poche settimane». [Giorgio Dell’Arti, Gds 27/5/2013]