21 febbraio 2011
La rivolta in Libia
• Il regime di Gheddafi è in bilico, al punto che sono sempre più insistenti le voci su una fuga all’estero del colonnello (Venezuela?). Da martedì 15 febbraio Bengasi e tutta la Cirenaica sono in rivolta e, almeno da domenica, si lotta anche nelle strade di Tripoli. I morti sarebbero centinaia e centinaia. «All’obitorio dell’ospedale non abbiamo più spazio per sistemare i cadaveri» ha detto da Bengasi il dottor Nabil al-Saaiti. Le notizie certe sono scarse, perché il colonnello ha chiuso le frontiere e bloccato Internet. Ma qualcosa si sa. Gheddafi, se non è scappato, sarebbe deciso a reprimere la contestazione con ogni mezzo. Gli elicotteri sorvolano a bassa quota le città mitragliando dall’alto. Le truppe sono state armate con razzi Rgp che i soldati hanno esploso contro la folla (i razzi Rgp sono una specie di bazooka e vengono in genere adoperati contro i carri armati). Cecchini sparano dalle finestre contro la popolazione inerme, prendendo di mira persino i familiari che seguono i funerali dei caduti. Questi cecchini sono stati fatti venire dall’estero, si tratta cioè di mercenari in gran parte africani, importati da Ciad, Mauritania, Nigeria, Algeria, Uganda e altri paesi dell’Africa centrale, ma anche, forse, dai Balcani, qualche serbo, qualche bosniaco, gente pronta per soldi a far fuoco su chiunque. Qui incasserebbero trentamila dollari al giorno e diecimila dollari di premio per ogni ribelle ucciso.
• E tuttavia proprio il ricorso ai mercenari denuncia una debolezza del regime: l’esercito, da cui negli anni passati sono stati allontanati i generali troppo autonomi o che rischiavano di diventare troppo popolari, sarebbe molto freddo verso Gheddafi e pronto a passare dall’altra parte. Alle agenzie internazionali, anzi, arrivano già notizie di defezioni, interi battaglioni che si sarebbero schierati con i rivoltosi. Questi hanno dalla loro parte anche le autorità religiose, che predicano in questo momento contro la dittatura troppo laica del colonnello. La più grande tribù del paese, i Werfalla, ha invitato alla lotta «contro chi non sa governare», idem gli Zentan, che hanno esortato «i giovani a combattere, i militari a disertare, Dio a portare all’inferno Gheddafi». La Cirenaica sarebbe, dunque, soprattutto un centro di rivoluzione islamica e quasi tutte le fonti di informazione internazionali dicono che a questo momento (lunedì mattina) la regione è persa per il governo centrale. La Libia andrà dunque in pezzi? Siamo solo all’inizio di una guerra civile? Il colonnello e i suoi sette figli sono davvewro fuggiti o si preparano a scappare in un paese vicino o addirittura in Venezuela, come si è cominciato a dire domenica sera?
• Dal palazzo del potere si risponde di no, che Gheddafi e la sua famiglia resisteranno ad ogni costo e fino all’ultimo secondo (a parte la figlia Aisha che sarebbe già volata a Dubai con i tre figli e la nonna Safia). Nella notte tra domenica e lunedì è apparso in televisione Saif al Islam, considerato il figlio moderato di Gheddafi: «Siamo davanti a un bivio: la guerra civile tra le tribù con decine di migliaia di morti, la separazione della Libia in tanti piccoli emirati, la fine del petrolio e degli investimenti stranieri, il ritorno indietro di 70 anni, l’occupazione straniera. Oppure l’avvio di un dialogo nazionale già da domani, in 48 ore. Per arrivare alle riforme e alla Costituzione». Promesse a cui non crede nessuno. All’ambasciatore ungherese a Tripoli - il presidente di turno dell’Unione europea è il primo ministro ungherese Viktor Urbàn – è stato fatto questo discorso: «Se continuate a incitare i manifestanti alle proteste nel nostro Paese, interromperemo la nostra cooperazione sul fronte immigrazione». Tuttavia, da parte degli Stati Uniti e dell’Unione europea, si sono moltiplicate le dichiarazioni e le pressioni perché i massacri cessino. Solo Berlusconi venerdì sera s’è astenuto dai proclami: «Non ho sentito Gheddafi. La situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno».
• Dal punto di vista italiano, la crisi libica è quanto mai preoccupante. Gheddafi detiene molte partecipazioni in primarie aziende del nostro paese: Eni, Unicredit, Finmeccanica. E, soprattutto, è concreta la possibilità che dalla Libia si riversino sulle nostre coste decine di migliaia di disperati o perché lo stesso colonnello aprirà per rappresaglia i cancelli dei campi di concentramento o perché, liquefacendosi il regime, questi disgraziati troveranno da sé la via di fuga. Il ministero dell’Interno monitora costantemente la situazione, sbarchi apocalittici negli ultimi giorni non ce ne sono stati, ma è evidente che, passando i giorni, il rischio di un’invasione è sempre più alto. L’Unione europea, già chiamata in causa dai nostri politici, ha poco potere per intervenire sul serio. La disponibilità ad accogliere rifugiati, infatti, compete ai singoli paesi dell’Unione, molto poco inclini, almeno finora, a farsi carico di questa tragedia. [Giorgio Dell’Arti]