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 2011  luglio 22 Venerdì calendario

Attentato in Norvegia

• Venerdì pomeriggio, alle 15,26, un’auto imbottita di esplosivo è saltata per aria sulla Akegataa, la via al centro di Oslo dove stanno i palazzi dei giornali e gli uffici dei ministeri. Case sventrate, vetri del quartiere in frantumi, urla, sangue, gente che scappa. Sette morti, quasi tutti funzionari dello Stato. Passano un paio d’ore e nell’isola di Utoya, nel paradiso naturale del lago Tyrifjorden, trenta chilometri dalla capitale, sbarca un poliziotto alto un metro e novanta, capelli biondi, occhi chiari, una mitraglietta in mano. Nessuno gli bada. La mitraglietta, essendo impugnata da un agente, passa inosservata. Il poliziotto raggiunge lo spiazzo dove sono radunati 500 ragazzi, tutti appartenenti alla gioventù laburista e che si trovano sul posto per un campus politico. È atteso anche il primo ministro Jens Soltenberg, 52 anni, ex giornalista. I ragazzi hanno tra i 15 e i 25 anni. Si avvicinano all’uomo che li sta chiamando e che grida «È un normale controllo dopo quello che è successo a Oslo, nessun problema». Quando li ha tutti intorno, il poliziotto punta contro di loro la mitraglietta e apre il fuoco. I ragazzi cadono come fuscelli, quelli delle file più dietro non capiscono, poi si gettano nel lago, si arrampicano sugli alberi, si rifugiano nelle case e si nascondono sotto i letti. Il poliziotto li insegue e li finisce, spara alla testa ai feriti, prende di mira quelli che stanno nuotando, punta sugli alberi, tenta di entrare nelle case. I sopravvissuti riferiranno un numero tanto grande e simultaneo di azioni omicide che alla polizia sembra di vedere più uomini in azione, una squadra, un commando. E invece era uno solo, ma animato da tale ferocia da volerli sopprimere tutti. Del resto il poliziotto biondo ha avuto un’ora e mezzo di tempo per agire indisturbato sull’isola, avendo avuto cura di sopprimere tra i primi l’unica guardia di Utoya. Questo ritardo nell’arrivo degli agenti, che hanno poi bloccato l’assassino in tre minuti, è al centro naturalmente di grandi polemiche.

• I poliziotti si sono trovati di fronte questo Anders Behring Breivik, 32 anni, molto tranquillo, molto disponibile, un tizio che definisce la carneficina «atroce, ma necessaria», chiede di non essere considerato un criminale, vuole un processo pubblico (rischia al massimo 21 anni), ha tutto un armamentario di ragionamenti da esporre, parla molto serenamente mentre gli agenti danno la caccia ai complici, che devono esserci (ma sei neonazisti sbattuti dentro vengono liberati di corsa perché non c’entrano niente), cercano altre bombe nel centro di Oslo, che ci sono ma non sono scoppiate, sequestrano la madre al 18 della Hoffsveien e la portano in località sconosciuta, perquisiscono tutto ciò che c’è da perquisire, interrogano tutti quelli che vanno interrogati. Questa ricerca affannosa dell’elemento demoniaco, che spieghi tutto e ci metta tranquilli, continua con l’ausilio dei giornali, che s’accorgono di come la narrativa nordica agiti da molti anni il fantasma del mostro (e Breivik vuole essere considerato «il più grande mostro mai esistito dopo la seconda guerra mondiale»), di come i paesi nordici, Olanda inclusa, pullulino di elementi, organizzazioni, partiti razzisti e filo nazisti, in Norvegia il Partito del Progresso – che Breivik aveva lasciato perché troppo moderato – ha addirittura preso il 20 per cento dei voti, sono terribili i tedeschi della Npd, molto numerosi e organizzati gli svedesi… I bersagli sono l’Islam, gli immigrati, il comunismo. L’obiettivo il recupero delle radici cristiane, il risorgere dello spirito crociato, una qualche purezza che consisterà prima di tutto negli occhi chiari e nei capelli biondi… I penosi pressapochismi dell’assassino trovano un loro ovvio bilanciamento in queste scolastiche e disperate ricostruzioni psicosociali, il cui scopo non dichiarato è di nascondere quanto di feroce e implacabile alberghi naturalmente dentro l’anima di homo sapiens.

• Alle idee di Breivik, esposte in un video messo in rete quealche ora prima del massacro (lo si vede in muta, che punta la mitraglietta contro l’obiettivo) e in un memoriale di 1.500 pagine quasi interamente copiato dai diari di Unabomber, non vale la pena di aggiungere se non l’anatema su Benedetto XVI, considerato molle, corrotto e illegittimo, la simpatia per An, la Lega, la Destra, il Msi, una lunga lista di obiettivi da colpire, tra cui 16 raffinerie che si trovano in Italia (e una di queste ha effettivamente subito un attentato qualche anno fa). Più significativa la ricostruzione della lunga preparazione che ha preceduto la strage. Breivik ci pensava almeno dal 2009 e l’intento era di uccidere quante più persone possibile. Per fabbricare l’esplosivo ha acquistato sei tonnellate di fertilizzante, facendoselo recapitare nella sua fattoria di Asta, 150 chilometri da Oslo, casetta in legno bianco, granaio in legno rosso. Con la metà di questa partita ha fabbricato ordigni, distribuendoli poi intorno all’Akergataa. Gli investigatori hanno da scoprire forse qualcosa sui finanziamenti dell’operazionie, che non ha un costo banale. Tuttavia la famiglia del massacratore non è povera. Il padre è un diplomatico in pensione che vive adesso nel sud della Francia. La madre Wenche abita in un quartiere residenziale (Hoff), ha una casa tutta rose, gerani e violette sui cui balconi i vicini hanno visto tante volte Anders fumare (lo incontravano spesso anche al supermercato). Anders odia le donne, detesta in particolare la madre – infettata dai suoi troppi partner – e la sorella, non più fortile a causa dei suoi 40 amanti, responsabili del suo rimbambimento, del suo cervello non più sviluppato di quello di un decenne. [Sull’argomento leggi anche il Fatto del giorno del 25 luglio] [Giorgio Dell’Arti]