La Gazzetta dello Sport, 27 luglio 2013
Bisogna esercitarsi sul significato autentico dell’ultima dichiarazione di Stefano Fassina.• Che cosa ha detto? Giovedì scorso, durante un convegno della Confcommercio, ha pronunciato queste parole: «La pressione fiscale è insostenibile e c’è una connessione stretta tra questa, la spesa e il sommerso

Bisogna esercitarsi sul significato autentico dell’ultima dichiarazione di Stefano Fassina.
• Che cosa ha detto?
Giovedì scorso, durante un convegno della Confcommercio, ha pronunciato queste parole: «La pressione fiscale è insostenibile e c’è una connessione stretta tra questa, la spesa e il sommerso. Sì, in Italia c’è anche un’evasione di sopravvivenza. Ci sono ragioni profonde che spingono molti soggetti a comportamenti di cui farebbero a meno». Ora, per valutare a pieno queste parole, bisogna sapere che Stefano Fassina è viceministro dell’Economia, è un molto autorevole esponente del Partito democratico e, all’interno del Partito democratico, si colloca da sempre su posizioni di sinistra-sinistra, antirenziane, molto sindacalesi. Ammettere a un tratto (anche se, nella polemica che ne è scaturita, Fassina ha sostenuto che «quelle cose le ho sempre dette») che c’è anche un’evasione non furba, non criminale, ma solo dettata da necessità drammatiche è un’apertura soprendente, alla quale bisognerebbe far seguire la domanda: «E quindi? Che cosa si propone, per le migliaia di casi che sono effettivamente solo frutto di un dramma, lo stesso Fassina e, con lui, il Pd?».
• Non sarà che quella dichiarazione, a mio avviso imprudente, è stata fatta perché il viceministro parlava a un convegno della più importante organizzazione dei commercianti, e tra gli evasori al limite tra dramma e furbizia ci sono pure tanti negozi piccoli e medi?
È possibile. Ma vorrei aggiungere che la dichiarazione di Fassina centra comunque un punto reale. Un’impresa, per esempio, che non venga pagata in tempo dal cliente (e questo cliente molto spesso è proprio lo Stato), al punto che la banca si riprende le fatture scontate e la cassa risulta alla fine vuota, comincerà col non versare l’Iva, poi col non pagare previdenza e contributi. E non per mettersi i soldi in tasca, ma proprio perché non ce l’ha. Queste omissioni lo terranno sveglio la notte, per il senso di colpa e la vergogna. Ritardando ancora i pagamenti,. comincerà a procrastinare il saldo degli stipendi e a quel punto anche i dipendenti sapranno quello che sta succedendo. Sa quante storie così ci sono? Centinaia di migliaia.
• Perché questo discorso non passa?
Fassina, agli occhi dei suoi compagni, ha il torto di aver preso una posizione troppo simile a quella espressa, tanti anni fa, da Berlusconi e che determina da allora l’atteggiamento del centro-destra sulle tasse. Brunetta ha accolto con un grande sorriso le parole del viceministro, mentre la Camusso ha parlato di «grave errore» e l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco, un uomo che di Fassina è stato maestro, ha dato una risposta rigida: «L’evasione è evasione. Non c’è differenza tra un evasore di necessità e uno volontario: evadere è una scelta. Altrimenti il concetto di necessità chi lo decide? Se ci sono attività che non sono in grado di reggere pagando le tasse esistono due soluzioni: o cambiano le leggi o semplicemente quelle attività scompaiono».
• Io direi che dovrebbero cambiare le leggi.
Proprio secondo la Confcommercio, i numeri dell’evasione in Italia sono questi: 272 miliardi di euro sottratti ogni anno al Fisco, il 17,4% del prodotto interno lordo. Tanto per fare qualche esempio: gli Stati Uniti hanno un’evasione del 5,3%, il Belgio del 2,7%, il Canada del 2,2%. Ora non è possibile che una differenza di queste proporzioni possa essere imputata solo alla mascalzonaggine degli italiani. C’è dell’altro, deve esserci dell’altro. E infatti c’è.
• Che cos’è?
L’Italia è tra i primi Paesi al mondo per pressione fiscale, al 44,6%, preceduta solo da Austria, Belgio, Francia e Danimarca. Ma se si calcola il gettito solo sul Pil emerso, gli italiani non hanno rivali: con una pressione fiscale effettiva del 54% si piazzano in cima alla classifica (sono sempre dati Confcommercio). Dal 2000 al 2013 la pressione fiscale è anche aumentata del 2,7%. Dice Luca Ricolfi: «La ragione per cui in Italia si evade tanto è che le aliquote, in particolare quelle che gravano sulle imprese, sono fra le più alte del mondo (il prelievo sul profitto commerciale, o total tax rate
, è pari al 68,3 per cento, un livello che non ha eguali fra i paesi Ocse). Se le aliquote sono troppo alte, i contribuenti non pagano». Le ragioni per cui si evade sono: la percezione che pagare le tasse è inutile, il livello eccessivo dell’imposizione e (attento!) la difficoltà degli adempimenti fiscali: alle imprese occorrono ogni anno 270 ore di lavoro per venire a capo del groviglio normativo. Quanto alla moltiplicazione dei controlli, «se si conducesse una lotta seria all’evasione fiscale» dice sempre Ricolfi « Succederebbero almeno tre cose. Primo: diversi professionisti, gioiellieri, commercianti pagherebbero di più. Ma alcune decine di migliaia di piccole imprese ed esercizi del Centro-Nord chiuderebbero, licenziando centinaia di migliaia di persone. E infine: l’economia del Mezzogiorno, dove il tasso di evasione è circa il triplo di quello del Nord, sarebbe rasa al suolo. Almeno un milione di persone perderebbe il lavoro. La gente scenderebbe in piazza contro lo Stato, mentre il prestigio di mafia, camorra e ’ndrangheta salirebbe alle stelle».