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 2013  luglio 25 Giovedì calendario

Se si deve dar retta ai numeri, il governo sta bene in salute. La prima volta che Letta mise alla Camera la questione di fiducia su una legge - era il decreto sulle emergenze, un mese fa - prese 383 sì

Se si deve dar retta ai numeri, il governo sta bene in salute. La prima volta che Letta mise alla Camera la questione di fiducia su una legge - era il decreto sulle emergenze, un mese fa - prese 383 sì. Ieri invece di sì ne ha avuti 427.

Su che cosa si votava la fiducia?
Sul cosiddetto "decreto del fare", al quale il Movimento 5 Stelle, Lega Nord, Sel e Fratelli d’Italia avevano dichiarato la guerra. In particolare il M5S: essendo caduti tutti gli emendamenti per via della fiducia, ha presentato 200 ordini del giorno, con l’idea di fare ostruzionismo.  

Ma perché? Che cosa dice di così grave questo "decreto del fare"?
Si tratta di un malloppo di cinquecento pagine che contiene una miriade di provvedimenti, di alcuni dei quali abbiamo già parlato. Sostegno al credito verso le imprese, semplificazioni burocratiche, abbreviazione dei processi civili, limitazione dei poteri di Equitalia, divieto di pignorare la prima casa, allungamento della rateazione per saldare i conti con l’erario, niente più responsabilità solidale per l’Iva negli appalti, rilancio dei cantieri con un investimento di due miliardi, conciliazione obbligatoria, giudici ausiliari per smaltire gli arretrati, nuove norme sulla formazione giovanile, wi-fi libero (all’ultimo è stata tagliata la norma che imponeva ai locali pubblici di identificare chi voleva navigare, però i fondi per la banda larga sono stati tagliati da 150 a 120 milioni), responsabilità del ministero dell’Economia sugli stipendi dei manager pubblici non più vincolati al limite di 300 milioni lordi stabilito da Mario Monti. Eccetera eccetera. Per farle tutto l’elenco non mi basterebbe il giornale.  

Ma perché i grillini si oppongono?
Avevano proposto otto emendamenti, il governo gliene aveva accettati quattro, il M5S ha risposto o tutti o niente e s’è messo a fare ostruzionismo. L’obiettivo vero, tatticamente, è quello di far slittare altri provvedimenti a cui il governo tiene, quello sulle riforme costituzionali o quello sull’omofobia. Strategicamente, Grillo punta allo sfascio della maggioranza attraverso una crisi senza ritorno in autunno. Il comico e il suo amico Roberto Casaleggio stanno preconizzando questo default da un pezzo, probabilmente sperandoci. L’onda finale della crisi dell’euro si abbatterà su di noi - dicono - ponendo fino anche alla moneta unica, spazzando via il governo delle larghe intese e costringendo Napolitano alle elezioni anticipate (che il presidente ancora l’altro giorno ha definito una sciagura). A quel punto, pensano, il Movimento 5 Stelle si presenterebbe a incassare i benefici della sua irremovibilità e della sua coerenza con quanto dichiarato in campagna elettorale. Per Grillo vale un po’ quello che si dice per Renzi: se il governo Letta dura, l’irrilevanza dei due personaggi, mascherata adesso dalle grida dell’uno e dall’agitarsi incessante dell’altro, diventerebbe palese.  

Mi interessa questa storia che il decreto del fare taglia le unghie a Equitalia.
Staremo a vedere nel concreto. Ieri, forse per ammorbidire il colpo, Enrico Letta e il ministro dell’Economia Saccomanni hanno fatto visita a quelli dell’Agenzia delle Entrate, lodando il lavoro svolto finora e annunciando un libro bianco sull’evasione. Letta: «Sulla competitività dell’Italia pesa l’economia in nero che é quantitativamente importante, distorce la concorrenza e produce inefficienza. Le tasse sono troppo alte perché non tutti le pagano. Vedo con quanta faciloneria si usano le risorse pubbliche, senza andare a verificare il rapporto tra queste risorse e gli usi, che non possono essere sballati o dettati da qualche lobby o interesse politico, che vince alle 2 del mattino di fronte a una Commissione. L’impegno che dobbiamo prendere é quello di essere attenti nell’uso equilibrato e parsimonioso del denaro pubblico, un impegno che prendo di fronte a voi per far sì che l’evasione e l’elusione crollino. Dobbiamo essere in grado di usare bene queste risorse». Il premier ha anche messo in evidenza la necessità di rilanciare la spending review e «andare a scovare le tante sacche di improduttività e inefficienza».  

• Sì, a proposito di improduttività e inefficienza io ieri ho letto il pezzo di Sergio Rizzo sul Corriere che parla dell’abolizione delle Province e delle Regioni.
Sì, è uno studio della Società Geografica Italiana esaminato ieri pomeriggio al ministero degli Affari Regionali. È un grande fatto che un’istituzione abbia preso in considerazione, ufficialmente, il tabù dei tabù, cioè l’eliminazione non solo delle Province, ma anche delle Regioni, previste dalla Costituzione «più bella del mondo», e la loro sostituzione con 36 dipartimenti. Con l’arrivo delle Regioni (1970) e con la riforma dell’articolo V della Carta, voluta dal centrosinistra nel 2001, le Province si sono moltiplicate e sono nati una quantità di enti intermedi come Unioni dei Comuni, Comunità montane, Comunità collinari, Circoscrizioni comunali, Circondari, Aree di sviluppo industriale, Ambiti turistici, Centri per l’impiego più una miriade di società pubbliche locali, al punto che la spesa (lo spreco) di denaro pubblico si è decuplicato e che la situazione è ormai fuori controllo. Sa che nessuno sa quante sono in Italia le amministrazioni pubbliche?  

Incredibile.
Qualcuno ha azzardato una cifra che da sola dovrebbe far saltare tutti sulla sedia: 46 mila...