Rassegna, 18 luglio 2013
Mattoni e finanza, chi è Salvatore Ligresti
• Salvotore Ligresti, «siciliano di Paternò, classe ’32, laureato in Ingegneria a Padova, sbarca a Milano all’inizio degli anni ’60 con poco in tasca se non i rapporti con i conterranei Michelangelo Virgillito e Raffaele Ursini, ras della finanza milanese e a loro volta legati a un altro compaesano di gran peso come il politico missino Antonino La Russa. Mattoni e finanza, credito facile e una certa intraprendenza, il costruttore Ligresti svolta nel ’62, quando con 15 milioni di lire acquista il diritto per costruire un sopralzo nella milanese via Savona – non ancora terra di creativi, ma di semplici case di ringhiera – e lo rivende al volo per 50 milioni. Il sistema Ligresti, che intanto non disdegna di comprare da Ursini una quota delle assicurazioni Sai, è però meno lineare di quello esposto. Lo si scopre nel 1986, come ha raccontato Gianni Barbacetto, quando si capisce che due terzi delle nuove edificazioni concesse dalla giunta Tognoli riguardano proprio società dei Ligresti. Il costruttore con grandi agganci politici che si allargano dal nucleo originario del Msi targato La Russa fino al Psi milanese ha creato un impero edilizio, ma soprattutto ha stretto solidissime relazioni anche con l’establishment finanziario, a partire dal numero uno di Mediobanca Enrico Cuccia. Sono gli anni in cui Ligresti diventa “mister 5%”; piccole partecipazioni piazzate in molte società della Galassia di piazzetta Cuccia – da Pirelli, a Rcs, a Impregilo – strategiche nel tessere la rete di controllo che sostiene e imprigiona al tempo stesso il capitalismo relazionale. Nel frattempo il costruttore non sfugge alla violenza degli anni cupi – sua moglie viene rapita nell’81 e liberata dietro il pagamento di un riscatto un mese dopo – mentre violenza anche maggiore colpisce due dei tre rapitori, che verranno in seguito trovati uccisi». [Manacorda, Sta]
• Racconta Bocconi sul Cds: «“Spegni i luci!”. E nella sala buia partono le diapositive. È il 14 novembre 1989, Salvatore Ligresti presenta agli analisti la matricola Premafin, la holding. Il suo impero immobiliare-assicurativo è quasi al massimo splendore. Cadrà con Mani Pulite, si risolleverà e poi cadrà di nuovo. Fino all’epilogo di ieri. Per il “patriarca” Salvatore i domiciliari (data l’età) eviteranno almeno il bis del ’92, quando l’ingegnere venuto da Paternò ha trascorso a San Vittore 112 giorni. Un lungo periodo ricordato per il suo silenzio, interrotto nel finale quando ai magistrati ha spiegato i rapporti con il Psi di Bettino Craxi, e per un episodio raccontato dal suo difensore: Ligresti era in cella con un detenuto che si è offerto di rifargli il letto. E lui ha risposto: “La ringrazio, l’ultima volta che l’ho fatto è stato a militare”. Ma il ciclone Tangentopoli gli ha anche fatto guadagnare una indesiderata primizia: la condanna definitiva numero uno a oltre cinque anni per le tangenti pagate da Sai allo scopo di aggiudicarsi l’assicurazione dei dipendenti Eni. Una sentenza che gli è costata formalmente il posto, perché ha dovuto abbandonare le cariche nell’impero e accontentarsi di presidenze onorarie. Con il tempo le “corone” sono passate ai figli, Jonella, Giulia e Paolo, e ai manager fedelissimi come, in primo luogo, Fausto Marchionni».