La Gazzetta dello Sport, 15 luglio 2013
Settantacinque anni fa - 15 luglio 1938 - «Il Giornale d’Italia» pubblicava il Manifesto della Razza e i politici italiani hanno celebrato l’evento con una bella rissa intorno all’ennesima battuta infelice di Roberto Calderoli

Settantacinque anni fa - 15 luglio 1938 - «Il Giornale d’Italia» pubblicava il Manifesto della Razza e i politici italiani hanno celebrato l’evento con una bella rissa intorno all’ennesima battuta infelice di Roberto Calderoli. Il quale, trovandosi a una festa del suo partito a Treviglio (Bergamo) dice, riferendosi al ministro Cécile Kyenge: «Quando la vedo non posso non pensare a un orango». Contestato anche dai suoi, Calderoli si è difeso dicendo che si trattava di una «battuta simpatica. Ho parlato in un comizio, la mia battuta si è inserita in un ben più articolato intervento di critica al ministro e alla sua politica». Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è intervenuto sul caso, parlando di «imbarbarimento della vita civile», riferendosi in realtà anche alle minacce ricevute da Mara Carfagna («Ti verremo a prendere a casa») e all’incendio doloso al liceo Socrate di Roma.
• Che ne dice?
Anche Giovanni Sartori, sul “Corriere della Sera”, ha durissimamente criticato la politica del ministro, facendo intendere che della materia su cui pretende di legiferare sa in realtà poco. Però mica ha inserito una riga per dire che somiglia a un orango! E oltre tutto Calderoli, anche nelle sue giustificazioni, insiste: «Avevo appena detto che sarebbe un’ottima ministra... in Congo. Va benissimo come ministro, ma a casa propria».
• La Kyenge come ha reagito?
«Provo rammarico, il confronto politico deve avvenire sul piano dei contenuti, non deve essere fondato sulle offese. Le parole di Calderoli non le prendo come un’offesa personale, ma mi rattristano per l’immagine che diamo dell’Italia. Credo che tutte le forze politiche debbano riflettere sull’uso che fanno della comunicazione». Su questo punto, altri sono intervenuti dicendo che il mondo ci giudica e, come al solito, noi diamo abbondante materia per giudicarci male. In realtà Calderoli, per imprese di questo genere, è ben conosciuto. Una volta, per impedire la costruzione di una moschea, disse che sul terreno prescelto avrebbe mandato il suo maialino a far pipì e a sconsacrarlo. Nel 2006 si sbottonò la camicia in televisione e fece vedere che sotto aveva una maglietta su cui era stampata la prima pagina del giornale danese che con le celebri vignette aveva irriso Maometto e provocato, con questo, disordini in tutto l’Oriente e molti morti. Quella volta fu costretto a dimettersi da ministro delle Riforme. Anche adesso chiedono che si dimetta.
• E da che cosa dovrebbe dimettersi?
Dalla vicepresidenza del Senato. Ha cioè una carica istituzionale, che suona poco compatibile con certe frasi sbracate. Senta però che cosa dice Zanda, il capogruppo dei senatori democratici. « Il senatore Calderoli rappresenta un caso di gravissimo sdoppiamento di personalità. Quando presiede il Senato lo fa con equidistanza. Quando parla da leghista tocca le vette della massima volgarità politica e civile». E su questo, che cioè sia un ottimo presidente del Senato (secondo molti il più bravo), concordano tutti. Il fatto è che nella scelta delle cariche istituzionali, bisognerebbe optare per personalità grigie, che non si fanno notare e che acconsentono, durante l’incarico, a non far politica. Noi abbiamo avuto, su questo, esempi di tutt’altro segno, dalla Pivetti a Bertinotti a Fini che fece della presidenza della Camera la leva dei suoi assalti a Berlusconi. Anche la Boldrini, come sobrietà istituzionale, scherza poco. Adesso dànno tutti addosso a Calderoli, cominciando da Letta (ha twittato: «inaccettabili oltre ogni limite le parole di Calderoli, avanti Cécile col tuo lavoro! Siamo con te») e finendo con gli stessi suoi compagni leghisti, che, confermando ogni critica alla Kyenge, prendono le distanze dagli insulti. Vendola, il Movimento 5 Stelle, Epifani vogliono che si dimetta dalla vicepresidenza del Senato. Come sappiamo dal caso Fini, nessuno può sfiduciare il presidente di uno dei due rami del Parlamento o, anche sfiduciandolo, può costringerlo a levare le tende. Calderoli ha già risposto che non ha nessuna intenzione di lasciare.
• E almeno le scuse?
Non lo so. I due precedenti ci dicono che certe frasi non restano comunque senza conseguenze. Dolores Valandro, consigliere di quartiere leghista a Padova, che aveva auspicato su Facebook che qualcuno struprasse la Kyenge, è stata espulsa dal partito ed è finita sotto processo per istigazione a commettere atti di violenza sessuale per motivi razziali. Il caso di Borghezio è addirittura patetico: intervistato dai due demoni de La Zanzara, disse che la Kyenge aveva la cittadinanza italiana «perché la cittadinanza italiana viene data un po’ a cazzo. Devo dire che il ministro ha l’espressione simpatica, mi sembra una brava casalinga, la vedrei molto bene come assistente sociale in un comune di 500 abitanti». E poi: «Gli africani non hanno prodotto geni, basta consultare l’enciclopedia di Topolino per saperlo». Nel prosieguo dell’intervista si finiva per citare Gobineau. A causa di queste espressioni, Borghezio dovette autosospendersi dal gruppo Europa della libertà e della democrazia (Borghezio è parlamentare europeo) e scrivere una lettera di scuse a Cécile.
• Chi è Gobineau?
Uno che nell’Ottocento ha teorizzato la superiorità della razza bianca su quella gialla e su quella nera. Precisiamo su questo: basta leggere Cavalli Sforza, il grande genetista, per sapere che «le razze non esistono». E inoltre: i nostri antenati sapiens erano neri e si sono sbiancati andando in giro per climi freddi. I veri bianchi doc erano i Neandertal. Scomparsi.